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Posts written by *stellinat*

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    INTRODUZIONE
    Sotto il reggimento di Panfilo, si ragiona di chi liberamente ovvero magnificamente alcuna cosa operasse intorno a’ fatti d’amore o d’altra cosa.

    PRIMA NOVELLA (NEIFILE)
    Ruggieri de’ Figiovanni, uomo ricco e di grande animo, decide di partire dalla Toscana, dove egli viveva, per recarsi alla corte del re Alfonso d’Ispagna, uomo molto conosciuto per il suo valore, e dimostrare lì le sue virtù. Sebbene già da molto tempo Ruggieri fosse vissuto a corte, mostrando in ogni occasione le sue doti, il re sembra non riconoscerle, ostinandosi a premiare, con poderi e ricchezze, chi non era meritevole. Per questo motivo Ruggieri decide di congedarsi dal re e tornare in patria. Il re lo licenzia, donandogli una mula per il lungo viaggio, e ordina ad un suo famigliare di seguirlo in incognito, ascoltando ogni giudizio che questi avrebbe detto su di lui e di riferirgli dopo una giornata di cammino che il re lo desiderava di nuovo a corte. Sebbene Ruggieri avesse mantenuto un comportamento lodevole nei confronti del re, durante il viaggio accade un episodio nel quale, per la prima volta, ne parla male. Infatti, essendosi fermati, lui e il famigliare del re per riposare, la mula, invece di abbeverarsi, essendo vicino ad un fiume, stallò, mentre quando giungono presso una stalla, luogo in cui era solito per le bestie stallare, la mula non lo fa, avendolo già fatto. Allora Ruggieri paragona la mula al re perché, come questi aveva donato ricchezze a persone non meritevoli, negandolo a persone che lo erano, la mula aveva stallato in luogo insolito, non facendolo nella stalla dove era solito per le bestie. A questo punto, il famigliare riferisce a Ruggiero che il re lo desiderava a corte e i due ripartono alla volta della Spagna. Il re, una volta giunti, interroga il famigliare e, saputo dell’episodio della mula, convoca Ruggiero. Preparati due forzieri chiusi, uno contenente terra, l’altro oro, il re lo esorta a scergliene uno come suo dono, e questi sceglie il forziere con la terra. Il re spiega, quindi, a Ruggieri che non aveva ricevuto doni a causa della sua stessa fortuna avversa. Ma il re, riconosciuto comunque il suo valore, decide di donargli il forziere con l’oro, proprio ciò che la sua stessa fortuna gli aveva negato. E Ruggiero, ringraziato il re per tanta magnificenza, se ne torna lieto in Toscana.

    SECONDA NOVELLA (ELISSA)
    Ghino di Tacco, uomo famoso per le sue ruberie, ribellatosi ai conti di Santafiore e alla Chiesa di Roma, allontanato dalla città, si rifugia a Radicofani, derubando chiunque si trovi nei territori circostanti al suo castello. Non risparmia neanche gli ecclesiastici e cattura, insieme alla suo seguito, un certo abate di Clignì, che passava per quei luoghi diretto ai bagni di Siena per guarire dal suo mal di stomaco. Una volta alloggiati l’abate e il suo seguito, Ghino si rivolge al suo prigioniero per essere informato dei motivi che l’avevano spinto in quei luoghi e, saputo della malattia, mosso a compassione, decide di curarlo lui stesso. Dopo vari giorni di cura, l’abate guarisce dalla sua malattia e Ghino decide che è il momento per l’abate e il suo seguito di lasciare il castello. Ghino, congedandolo, mostra all’abate la sua vera personalità, un uomo costretto a vivere in quel modo poco onesto per malvagità d’altri e non per sua scelta; si dimostra molto gentile nei suoi confronti e lo assicura che non avrebbe confiscato i beni che trasportava durante il viaggio, ma gli chiede di donargli liberamente ciò che ritiene giusto come pegno dell’ospitalità ricevuta. L’abate, sentite le sincere parole di Ghino, riconosce la sua onestà e abbandona lo sdegno avuto verso di lui. Decide di donargli tutto ciò che possedeva in quel momento salvo lo stretto necessario per tornare a Roma. Qui, incontrato il papa e raccontati i fatti accaduti, prega il Santo Padre di rendere grazia a Ghino di Tacco, che si era dimostrato uomo tanto valente. Il papa, udendo la richiesta dell’abate, chiama a corte Ghino, lo insignisce dell’ordine di cavaliere dello Spedale, nonché amico e servitore dell’abate di Clignì e della Santa Chiesa.

    TERZA NOVELLA (FILOSTRATO)
    Viveva in Oriente un uomo nobile e ricco di nome Natan che, desideroso di essere conosciuto per le sue opere, aveva edificato uno sfarzoso palazzo dove ricevere e ospitare coloro che per viaggio passavano nei luoghi vicini. Grazie a quest’immensa opera, la fama di Natan si sparse in tutto Oriente, suscitando l’invidia di un certo Mitridanes, un uomo altrettanto ricco. Questi sebbene avesse costruito un palazzo simile a quello di Natan, diventando anche lui molto famoso, comprende l’impossibilità di superarlo e intuisce che l’unico modo possibile era ucciderlo. Così, deciso di assassinare Natan, dirigendosi verso il suo palazzo, lo incontra casualmente sul cammino. Ignorando chi realmente fosse, gli chiede informazioni e Natan, saputa la destinazione del forestiero, nascondendo la sua identità, finge di essere un servo di lui stesso e si offre di accompagnarlo a palazzo. Qui, interrogato Mitridanes, conosce lo scopo cui lui ambiva e, senza dimostrarsi spaventato né tanto meno rivelando chi fosse, decide addirittura di aiutarlo nell’impresa, rivelandogli che Natan era solito, ogni mattina, passeggiare da solo in un bosco vicino. La mattina seguente, Natan, segnato ormai il suo destino, si dirige nel bosco e aspetta che Mitridanes lo trovi e lo uccida. Questi non tarda ad arrivare, ma quando vede Natan e capisce che colui che la notte prima lo aveva ospitato, servito e aiutato era proprio quello che stava per uccidere, il rimorso e la vergogna lo fermano dall’impresa. Natan si dimostra comunque deciso e esorta Mitridanes a ucciderlo, perché infondo lui era ormai vecchio e poco gli rimaneva da vivere, ed era onorato che la sua morte potesse rendere migliore qualcun altro. Mitridanes, commosso dalle parole di Natan, decide di non ucciderlo e, riconosciuta la sua magnanimità, ritorna a palazzo insieme a lui, si congeda e ritorna alla propria dimora.

    QUARTA NOVELLA (LAURETTA)
    Nella nobilissima Bologna, viveva un certo Gentil de’ Carisendi, il quale era innamorato di donna Catalina, moglie di Niccoluccio Caccianimico, e non era ricambiato. La donna, a quel tempo gravida, fu colpita da una grave malattia, e in breve tempo in lei scomparse ogni segno di vita e, poiché il bambino che portava in grembo era stato concepito da poco, i parenti decisero di seppellirla. Gentile, saputa questa notizia, come segno estremo del suo amore, decide di profanare la tomba di Catalina per porgerle un bacio, non avendo potuto farlo mentre lei era in vita. Facendo ciò, si accorge miracolosamente che Catalina, sebbene molto debole, era ancora in vita e decide di trasportarla a casa sua per curarla. Qui Catalina e il bambino nel suo grembo guariscono completamente e la fanciulla partorisce un bel figlio maschio. Gentile decide allora di invitare a pranzo alcuni amici per mostrare loro Catalina, la cosa più cara che aveva, perché aveva saputo che questa fosse un’usanza dei Persi per onorare gli amici cari. Prima di chiamare Catalina, Gentile chiede un parere agli amici, domanda loro se fosse giusto che un uomo richiedesse indietro un suo servo, che aveva abbandonato perché malato, all’uomo che l’aveva trovato e curato. Un uomo risponde per tutti che non era legittimo perché, abbandonando il suo servo, il primo uomo non aveva più nessun diritto su di lui. L’uomo che aveva risposto era proprio Niccoluccio Caccianimico, il marito di Catalina e quando questa viene mostrata agli invitati e avendo Gentile sottolineato che il servo della domanda precedente rappresentava la fanciulla, capisce che rispondendo aveva perso tutti i diritti sulla moglie e sul figlio. Ma Gentile, notando il dispiacere e le lacrime sul viso di Niccoluccio, decide di rinunciare a Catalina, porgendola al marito, guadagnandosi l’amicizia della coppia e dei loro parenti.

    QUINTA NOVELLA (EMILIA)
    Nella città di Udine viveva insieme al marito Gilberto, donna Dianora, la quale era desiderata ardentemente da messer Ansaldo Gradense. La donna, stanca delle incessanti proposte e regali fatti da Ansaldo, decide di porre fine a questo tormento: riferisce ad Ansaldo che, se fosse riuscito, nel mese di gennaio in cui erano, a far fiorire il suo giardino come nel mese di maggio, lei lo avrebbe amato, mentre se non riusciva nell’intento, avrebbe dovuto per sempre dimenticarla. Il povero innamorato, dopo infinite ricerche, riesce a trovare un negromante capace di tale magia e così vedendo il giardino in fiore, Dianora si rassegna e racconta la promessa al marito. Gilberto, sebbene avesse reagito con l’ira, capisce che Dianora aveva fatto la promessa innocentemente e, conoscendo la purezza dell’animo della moglie, la invita a recarsi da Ansaldo per scogliere la promessa, ma se questo non fosse accaduto, l’avrebbe lasciata andare via con lui. Recatasi Dianora da Ansaldo e riferitegli le parole del marito, questi comprendendo la magnanimità di Gilberto e non volendo privare la sua amata dell’amore del marito, scoglie la promessa e la lascia andare. L’episodio sembra coinvolgere anche il negromante lì presente che, di fronte a tanta liberalità, segue l’esempio e rifiuta la ricompensa pattuita per far fiorire il giardino.

    SESTA NOVELLA (FIAMMETTA)
    Questa novella parla di una vicenda capitata a messer Neri degli Uberti con il re Carlo 1° D’ Angiò. Messer Neri decise di ritirarsi in un luogo solitario per finire nella calma i suoi giorni, così comprò un appezzamento di terra dove costruirvi una casa e un bellissimo giardino con un laghetto con dei pesci nel mezzo. Le voci sulla bellezza di questo giardino arrivarono al re che, incuriosito, decise di andarlo a vedere. Messer Neri ospitò umilmente il re e i suoi quattro compagni con una tavola ricca di bevande apparecchiata nel giardino. Ad un certo punto due giovani e belle fanciulle uscirono dalla casa e con delle reti entrarono nel laghetto e ne uscirono poco dopo con dell’ottimo pesce da mettere sul fuoco. Uscirono dall’acqua con i loro bianchi vestiti così bagnati da lasciar intravedere quanto di più bello avevano, e il re, osservandole, ne rimase colpito. Durante il viaggio verso casa e nei giorni seguenti il re non riuscì a pensare ad altro che a Ginevra la bella e ad Isotta la bionda (questi i nomi delle fanciulle), innamorandosi perdutamente della prima. Facendosi sempre più strada l’ idea di sposare la fanciulla, uno dei suoi consiglieri, capendo la gravità di questa vicenda se fosse avvenuta, disse al re che maritare le figlie di messer Neri sarebbe stato un grave errore, e che doveva vincere la “guerra” contro se stesso e le sue passioni; così, alla fine il re fece sposare le due con grandi baroni a cui donò anche delle province.

    SETTIMA NOVELLA (PAMPINEA)
    Questa novella narra di una giovane fanciulla che nel giorno in cui il vittorioso re Pietro dà una festa in paese, affacciandosi dalla finestra della sua casa, vede e si innamora pazzamente del re, non sapendo che quello fosse tale. Venutolo a sapere cade in malattia peggiorando periodicamente. Quando la sua situazione si sta facendo critica, pensa che non vuol morire senza aver prima fatto sapere al re del suo amore, e così chiede di vedere un cantore che possa riferire a corte quanto detto: così va a trovarla Minuccio e dopo appena tre giorni che era andato dalla fanciulla, aveva creato una canzone da presentare al re. Così la canta al re che, colpito dalla volontà della fanciulla, chiede di vederla e dopo averci parlato, preso dalla compassione, si impegna a farla sposare con un giovane barone così da farla felice.

    OTTAVA NOVELLA (FILOMENA)
    Questa è la storia di due amici molto cari, Gisippo e Tito,cresciuti insieme e molto legati. A Gisippo viene promessa in sposa la bella Sofronia. I due un giorno vanno a trovare la ragazza mai vista, e avviene che Tito si innamora della futura sposa dell’ amico, ma non lo dice a Gisippo. Dopo alcuni giorni in cui Gisippo vede che Tito è in condizioni pessime decide di parlarci e scopre che Tito è molto innamorato, e decide di cedergli la donna, ma non può farla sposare a lui altrimenti i genitori di lei e i suoi si sarebbero opposti. Comunque Tito parla con i genitori di Sofronia e la porta con sé a Roma. Intanto Gisippo diventa molto povero e ritorna anche lui a Roma dove viene riconosciuto dal vecchio amico Tito che lo accoglie calorosamente salvandolo da una condanna a morte autoaccusandosi. Viene però assolto anche lui da Ottaviano e accoglie Gisippo dandogli poi in moglie la sorella e condividendo i suoi beni con lui.

    NONA NOVELLA (DIONEO)

    La novella parla della storia di messer Torello che ospita il Saladino facendolo passare per mercante a Pavia, per saperne di più sui preparativi delle crociate; al momento di partire per le Crociate da un termine ultimo alla moglie per risposarsi. Durante la Crociata viene fatto prigioniero, ma viene riconosciuto dal Saladino che lo libera. A questo punto Torello deve tornare a casa per impedire alla moglie di risposarsi, e così si affida ad un negromante del Saladino che con la magia lo trasferisce in un attimo a Pavia, e Torello riesce ad arrivare al matrimonio della moglie che lo riconosce e così tornano insieme a casa. Ha impedito che si risposasse.

    DECIMA NOVELLA (PANFILO)
    Nell’ ultima novella viene raccontata la storia del marchese di Saluzzo che sposa Griselda malvolentieri seguendo le preghiere dei suoi uomini. Griselda, figlia di un villano, viene sottoposta dal marchese a struggenti prove di fedeltà: il marchese finge di avergli ucciso i figli, finge di non essere più innamorato di lei e le porta dentro casa una donna facendola passare per la sua amante e finge addirittura di risposarsi. Dopo addirittura dodici anni, con i figli ormai grandi e maritati, svela tutto a Griselda e con lei trascorre la vecchiaia.


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    INTRODUZIONE

    Quando sorse il sole dieci giovani passeggiarono lungo il prato per poi andare alla messa. Ritornati a casa, dopo aver mangiato, si abbandonarono al canto e alla danza, quindi la regina decise di far riposare la compagnia. Passato mezzogiorno, si sedettero in cortile e la regina ordinò a Neifile di raccontare.

    PRIMA NOVELLA (NEIFILE)
    La novella è ambientata a Milano ed ha come protagonista Gulfardo, un giovane molto leale nel restituire i soldi, che si innamorò di madonna Ambrogia, moglie di un suo amico mercante, Guasparruolo Cagastraccio. La donna, per far ciò che a Gulfardo piaceva, pose due condizioni: che non si fosse riferito il fatto ad alcuno e che le donasse duecento fiorini d’oro. Egli, sdegnato dalla sua avarizia, mutò in odio il suo amore e pensò di beffarla, così finse di accettare la proposta. Allora andò dal marito e gli chiese in prestito duecento fiorini, che egli ricevette. Quando Guasparruolo partì, Gulfardo si recò a casa di lei con un compagno e in presenza di questo le diede i duecento fiorini dicendole di consegnarli al marito. Ambrogia rimase un po’ perplessa ma pensò che lui aveva detto ciò solo perché davanti all’amico. Così i due andarono in camera di lei e si sollazzarono. Dopo che Guasparruolo tornò, il giovane, accompagnato dall’amico, andò in casa sua dove era pure la donna e disse al mercante che aveva già restituito alla moglie i soldi che gli furono prestati. Questa, vedendo il testimone, si vide costretta a dare i soldi al marito cosicché lei rimase scornata e il furbo amante ne poté godere senza costo.

    SECONDA NOVELLA (PANFILO)

    La novella è ambientata a Varlungo e il protagonista è un prete che seppur leggesse poco riusciva a ricreare i parrocchiani, in particolare le donne. Tra queste ce ne era una che gli piaceva maggiormente: monna Belcolore, moglie di un contadino. Per entrare in amicizia con lei il prete le mandò dei doni, ma questa li ignorava fino a quando un giorno il prete la andò a trovare. Il prete cercò di farle alcune proposte ma lei non cedeva finché ella disse che le servivano cinque lire; allora il prete le promise che gliel’avrebbe date la domenica successiva ma lei non si fidava cosicché fu costretto a lasciarle in pegno un mantello che valeva molto più di cinque lire. Fatto ciò i due andarono in una capanna dove si sollazzarono. Tornato in chiesa però si pentì di averle dato quel mantello così pensò a come riprenderlo. Il giorno dopo mandò un ragazzo da Belcolore per chiederle in prestito un mortaio e la donna accettò. In seguito disse a un chierico di andare dalla donna per ridarle il mortaio e riprendere il mantello che il giovane lasciò come pegno. Il chierico, consegnato il mortaio, riferì ciò che gli aveva detto il prete al marito il quale si adirò con lei per aver chiesto un pegno da un prete; così il chierico poté prendere il mantello e riconsegnarlo. La donna rimase scornata e non parlò al prete per molto tempo fino a quando questo la minacciò di mandarla all’Inferno; allora si riparlarono e si sollazzarono altre volte.

    TERZA NOVELLA (ELISSA)

    La novella è ambientata a Firenze e il protagonista è il pittore Calandrino, vittima di una burla di Maso del Saggio e suoi amici. I buontemponi gli raccontarono che vicino Firenze c’era un fiume dove si trovavano pietre nere e di diversa grandezza che davano l’invisibilità. Saputo ciò Calandrino decise di cercarle con suoi due amici, Bruno e Buffalmacco, che appresa questa notizia, capiscono subito che si tratta di una burla, finsero meraviglia e decisero di andare con lui. Una mattina andarono vicino questo fiume in cerca delle pietre; dopo un po’ di ore i due amici, come stabilito, vedendo Calandrino carico di pietre, finsero di non vederlo più, così pensò di essere invisibile. Allora i due se ne andarono e Calandrino li precedeva, pensando di non essere visto; ma i due amici, come era stato preparato, si dissero che se avessero visto Calandrino gli avrebbero tirato le pietre per essersi preso gioco di loro: così iniziarono a tirare pietre davanti a loro prendendo sempre Calandrino il quale però soffriva in silenzio il dolore per non farsi scoprire. Prima di tornare a casa alcuna persona fermò o rivolse la parola al pittore: infatti tutti erano stati avvisati da Bruno e Buffalmacco. Però la moglie, non essendo stata avvertita, vide Calandrino e gli parlò: allora egli, pensando che la moglie gli avesse tolto l’invisibilità, la menò. Quindi i due amici lo andarono a trovare a casa e videro la moglie picchiata e lui affannato così vollero delle spiegazioni; Calandrino narrò loro tutti i fatti infuriato con la moglie. I due con una gran voglia di ridere riuscirono a riappacificare marito e moglie con grande fatica e se ne andarono ridendo.

    QUARTA NOVELLA (EMILIA)

    La novella è ambientata a Fiesole e il protagonista è un parroco che amava la vedova Piccarda, che viveva con due fratelli in un casale, e voleva che anch’essa gli volesse bene. Questo era anziano ma ancora baldanzoso e presuntuoso e perciò non piaceva alla donna; ma il parroco era molto insistente e le mandava di continuo doni e lettere finché la vedova decise di levarselo di torno definitivamente e si accordò con i fratelli. Così andò dal parroco e gli disse che era disposta ad essere sua ma se si fossero visti nella sua stanza dovevano stare muti e al buio per non farsi scoprire. Il parroco accettò l’invito per la stessa notte. Nel frattempo Piccarda si era messa d’accordo con la sua cameriera Ciutazza, di una bruttezza unica: in cambio di una camicia nuova Ciutazza doveva stare al buio e in silenzio con un uomo. E questa accettò subito. La sera, il parroco andò a casa della vedova e credendo di trovare lei nel letto iniziò a sollazzarsi e a baciare Ciutazza. Allora i due fratelli chiamarono il vescovo per mostrargli una cosa nella loro casa. Il parroco, visto il vescovo, cercò di nascondere il capo sotto le coperte ma quegli glielo tirò fuori e gli fece vedere per lo più con chi era andato a letto. Così il parroco dovette pagare il peccato per quaranta giorni e venne preso in giro da tutti per essere andato a letto con la Ciutazza.

    QUINTA NOVELLA (FILOSTRATO)

    La storia si svolge a Firenze. Niccola è un Giudice e il suo modo di vestire è piuttosto trasandato. Un giorno mentre Maso va da un suo amico, si accorse che Niccola vestiva malamente. Il particolare che lo colpì furono le braghe che arrivavano a metà della gamba. Subito andò a cercare i suoi amici Ribi e Matteuzzo e li portò a vedere le braghe del Giudice. I tre a vedere quello spettacolo si misero a ridere. A Maso venne l’idea di tirargliele giù: i tre si misero d’accordo sul da farsi. La mattina seguente tornarono dal Giudice che stava seduto sulla panca del tribunale, Maso si accostò ad un lato del Giudice, mentre Ribi si mise dall’altra parte. Matteuzzo si mise sotto al banco dove il Giudice teneva i piedi. Maso e Ribi fecero finta di litigare per un furto. Intanto, mentre il Giudice era intento a seguire la discussione, Matteuzzo da sotto il banco gli calò furtivamente le braghe e scappò senza farsi notare. Il Giudice non capì come era potuto accadere e i complici della burla guardarono il Giudice con scandalo disapprovando tale comportamento e se ne andarono sdegnati.

    SESTA NOVELLA (FILOMENA)

    Il racconto è ambientato vicino Firenze. Di solito Calandrino andava in una Villa per ammazzare un maiale. Bruno e Buffalmacco, erano due piccoli truffatori di Firenze che venuti a conoscenza della partenza di Calandrino andarono da un loro amico prete, che viveva nei pressi della villa di Calandrino. Calandrino dopo aver ucciso il maiale li invitò a vederlo. Essi videro che il maiale era bellissimo e proposero a Calandrino di venderlo e con il ricavato andare a divertirsi. Calandrino rifiutò l’offerta poiché sapeva che la moglie non gli avrebbe creduto. I tre mentre stavano tornando a casa escogitarono un piano per rubare il maiale. La sera il prete invitò Calandrino e gli offrì da bere secondo i piani e Calandrino si abbandonò al bere. Tornato a casa un po’ ebbro non si curò della chiusura della porta. Bruno e Buffalmacco approfittarono dell’occasione ed entrarono furtivamente nella casa, portandosi via il maiale. La mattina seguente Calandrino accortosi della scomparsa del maiale uscì di casa sconvolto. Bruno e Buffalmacco andarono a vedere la situazione e Calandrino gli raccontò ciò che era successo. Alla fine i due gli proposero di cercare il ladro tra i suoi vicini. I due compari raccontarono a Calandrino di conoscere un metodo che consiste nel preparare delle gallette di zenzero, colui che le avesse sputate sarebbe stato il ladro. Prepararono queste gallette e alcune le ricoprirono di zucchero dividendole da altre. Il primo che assaggiò le gallette fu lo stesso Calandrino, al quale i due gli diedero quelle amare. Calandrino appena mangiò la prima galletta la risputò immediatamente. Mentre gli altri, avendo avuto le gallette zuccherate, le mangiarono tranquillamente. I due compari lo accusarono di essere stato lui l’autore del furto e per non far parola alla moglie dell’accaduto si fecero regalare due paia di capponi.

    SETTIMA NOVELLA (PAMPINEA)
    Un giovane studente, chiamato Rinieri, s’ innamorò di una donna, di nome Elena, che, rimasta vedova, fece finta di ricambiare il sentimento. Una sera Elena per burlarsi del ragazzo lo fece rimanere fuori di casa tutta la notte. Il giovine per vendicarsi ingannò la vedova dicendole che lui era un esperto di negromanzia e che se lei voleva rivedere il suo vero amante lui poteva dirle le “parole magiche” per far accadere ciò. La donna si fidò e andò al luogo prestabilito. Per svolgere perfettamente il rituale si spogliò e si mise su una torretta ad aspettare l’amante. Rinieri osservò la scena e appena la vedova salì lui le tolse la scala. Passò tutta la notte quando la donna si accorse che era stata ingannata e rimase lì fino a dopo pranzo tentando di convincere il ragazzo a farla scendere. Due suoi domestici nell’intento di cercarla la trovarono nuda sulla torretta e completamente scottata dal sole. Nel salvarla la sua fantesca si ruppe una gamba. Tornati in città Rinieri si sentì soddisfatto della sua vendetta poiché anche quell’ ancella aveva contribuito allo scherzo fattogli dalla vedova.

    OTTAVA NOVELLA (FIAMMETTA)
    Di solito Spinelloccio andava a casa di Zeppa e quando non c’era andava a letto con la moglie. Questo intrigo andò avanti per lungo tempo finchè un giorno la moglie di Zeppa fece salire Spinelloccio convinta dell’assenza del marito. Zeppa scoprì il tradimento. Appena la moglie fu sola Zeppa gli rivelò che era a conoscenza della sua tresca con l’ amico. Zeppa chiese alla moglie, se vuolova essere perdonata, di aiutarlo nel suo piano di vendetta. Le ordinò di dare appuntamento all’amico la mattina seguente e di rinchiuderlo dentro una cassa. La moglie per paura acconsentì al piano.Il giorno seguente Spinelloccio e Zeppa si incontrarono e Spinelloccio disse a Zeppa che doveva andare a mangiare da un suo amico, in realtà doveva vedersi con la moglie. Quando Zeppa ritornò a casa, la moglie per non far scoprire Spinelloccio, secondo il piano, lo rinchiuse in una cassa. Zeppa le chiese di invitare la moglie di Spinelloccio a pranzo in quanto il marito stava fuori con un suo amico. Dopo pranzo Zeppa si chiuse in camera con la moglie di Spinelloccio e per possederla gli raccontò dell’intrigo del marito con sua moglie, e adagiandola, proprio sopra la cassa dove era rinchiuso Spinelloccio, riuscì nel suo intento. Successivamente, in presenza della moglie di Spinelloccio, Zeppa fece entrare sua moglie e le ordinò di aprire la cassa, Spinelloccio uscì fuori e vergognandosi di quello che aveva fatto propose di restaurare l’amicizia tra di loro e di condividere le mogli. Zeppa accettò.

    NONA NOVELLA (LAURETTA)
    Simone è un maestro che ha studiato a Bologna e tornato a Firenze va a vivere vicino a due pittori Bruno e Buffalmacco. Simone è subito attratto dallo stile di vita libero che conducono i due pittori. Così, incuriosito, li conosce meglio invitandoli a cena. Una sera Bruno gli fa credere che il loro stile di vita è dovuto al fatto che frequentano un gruppo di persone le quali si davano al piacere e al divertimento. Il maestro rapito dalla fantasia di questi racconti decide di entrare a far parte del gruppo. I due gli tirano uno scherzo e lo fanno cadere in una fossa. Il povero maestro se ne tornò a casa sconsolato e fu accusato dai di non essere riuscito a far parte del gruppo rovinando la loro reputazione.

    DECIMA NOVELLA (DIONEO)

    La novella è ambientata a Palermo dove una giovane truffatrice inganna un mercante venuto da Firenze. Il ragazzo si chiamava Salabaetto e accortosi dell’attenzione della donna perde la testa per lei. La signora che si chiamava Biancofiore tese la sua tela e il giovine ci cascò dentro. Dopo varie volte che si furono incontrati la donna, venendo a sapere dell’ingente cifra di cui disponeva il giovane, gli preparò una messa in scena. Una sera Salabaetto andò a trovare Biancofiore in lacrime poiché aveva ricevuto una lettera dal fratello in cui le venivano chiesti otto fiorini. Salabaetto si offrì di darglieli ma nei mesi a venire non ricevette i suoi soldi. Dunque resosi conto della truffa andò da un suo amico a Napoli. Qui viveva Pietro dello Canigiano che disse al giovane come fare a riavere i suoi soldi. Tornato a Palermo la donna restituì i soldi e gliene prestò altri mille per fa arrivare la sua abbondante merce. Salabaetto non tornò più e la ragazza rimase con la merce di poco valore.

    CONCLUSIONE
    Lauretta, finita l’ultima novella, si alzò e diede la corona ad Emilia che impose per il giorno dopo un tema vario. I ragazzi dopo aver mangiato e svagato se ne vanno a dormire.

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    Queste novelle narrano di come, con una pronta ed arguta risposta, un uomo o una donna siano riusciti a togliersi d’impaccio o da una pericolosa situazione

    INTRODUZIONE
    Rientrata in casa, la compagnia si prepara a mangiare quando Licisca, serva di Filomena, e Tindare, servo di Filostrato cominciano a litigare poiché lei afferma che le donne non arrivano mai vergini al matrimonio. Allora Elissa, eletta regina per quel giorno, chiama Dioneo, affinché giudichi il fatto. Dioneo dà ragione a Licisca. Finita la discussione, Elissa invita Filomena ad iniziare.


    PRIMA NOVELLA (FILOMENA)

    Filomena intende dimostrare quanto le donne siano capaci di motti arguti, e come essi si addicano alla donna stessa, e a tal fine porta l’esempio di come una donna zittì un cavaliere incapace. Madonna Oretta era rispettata e conosciuta, e un giorno, viaggiando insieme con delle persone, ricevette da un cavaliere la proposta di salire sul suo cavallo ed essere da lui intrattenuta. Oretta salì allora sul cavallo, ma il cavaliere era incapace di raccontar le storie, e così, esasperata alla fine gli disse che il cavallo aveva un andamento troppo duro per lei e che quindi avrebbe preferito continuare a piedi.

    SECONDA NOVELLA (PAMPINEA)

    Un giorno giunsero a Firenze degli ambasciatori inviati lì da papa Bonifacio. Essi erano ospiti di Geri Spina, marito di Oretta. Il gruppo, ogni giorno passava davanti al negozio del fornaio Cisti, il quale, pur facendo un lavoro umile, aveva potuto arricchirsi. Quest’ultimo aveva una riserva di vini bianchi, la migliore di Firenze, ed era desideroso di offrirne un po’ anche alla brigata che ogni giorno passava di lì. Tuttavia, a causa della sua umile posizione, non poteva invitarli, e così decise di tentarli, mettendosi per due mattine di seguito a gustare il suo vino davanti al locale. Il secondo giorno, Geri, chiese al fornaio di poter assaggiare un po’ del suo vino. Questo piacque talmente tanto agli ambasciatori, che tutte le mattine passarono da lui per berne. Un giorno, Geri decise di organizzare un banchetto in onore degli ambasciatori che stavano per ripartire, e per questo mandò un suo servo dal fornaio a prendere un po’ di quel vino. Il servo si presentò allora da Cisti con un recipiente talmente grande che quando il fornaio lo vide, ridendo, disse al ragazzo che certo il suo padrone non lo aveva mandato da lui. Riferito questo, Geri disse al servo di tornare dal fornaio e chiedergli a chi dunque lo aveva mandato, e Cisti rispose che sicuramente lo aveva mandato a prendere acqua nell’Arno. Geri comprese dunque che era a causa della grandezza eccessiva del fiasco e così, dopo aver rimproverato il servo lo inviò di nuovo dal fornaio, stavolta con un fiasco adeguato. Cisti allora glielo riempì senza problemi e il giorno stesso si recò da Geri per spiegare il suo comportamento.

    TERZA NOVELLA (LAURETTA)

    Viveva a Firenze il vescovo Antonio d’Orso, il quale aveva un fratello. Quest’ultimo aveva una nipote sposata ad un uomo cattivo ed avaro. Accadde che un giorno, venne a Firenze un maniscalco giovane e bello, che pagando al marito 500 fiorini falsi, potè giacere con la nipote del fratello del vescovo, il quale, venuto a conoscenza di ciò, finse di non saperne nulla. Il prelato un giorno, cavalcando col maniscalco, incontrò Madonna de’Pulci alla quale domandò se avesse voluto trascorrere la notte con quel bel giovine accanto a lui; a questa domanda essa rispose che molto volentieri l’avrebbe fatto se fosse poi stata sicura di venir ricompensata con monete vere.

    QUARTA NOVELLA (NEIFILE)
    Viveva a Firenze Currado Gianfigliazzi, un gran signore, ricco e amante della caccia. Avendo un giorno catturato una bella gru, la diede al suo cuoco, Chichibio. Mentre la gru coceva sullo spiedo si spanse tutt’intorno un profumo di arrosto che attirò una servetta del rione di cui Chichibio era invaghito. Questa allora chiese a Chichibio una coscia del volatile ma Chichibio le rispose che non poteva regalargliela. Quella allora lo minacciò sul piano affettivo e al cuoco non rimase che accontentarla. Quella sera si tenne una bella cena con degli ospiti, e Currado, vedendo che alla gru mancava una coscia, chiese spiegazioni, al che il cuoco per difendersi disse che le gru avevano una sola gamba, non due. Allora Currado decise di sfidare il cuoco a dimostrargli, all’alba del giorno seguente, la veridicità delle sue parole. Così al mattino si recarono al lago dove le gru riposavano poggiate su una sola zampa. Proprio mentre Chichibio cominciava a credersi salvo Currado lanciò un forte grido a causa del quale tutte le gru presero il volo mostrando così entrambe le zampe. Al che il cuoco rispose al suo padrone che, se avesse lanciato un urlo simile la sera prima, anche quella gru avrebbe mostrato entrambe le zampe. Currado sorpreso e divertito di quella battuta decise allora di perdonare il cuoco.

    QUINTA NOVELLA (PANFILO)
    A Firenze avevano vissuto due uomini, capacissimi nella loro arte, ma di aspetto quasi turpe: Giotto, e Forese da Rabatta: il primo il più grande dei pittori, il secondo grande conoscitore della giurisprudenza. Accadde un giorno che di ritorno dal Suggello si ritrovassero a fare la strada insieme, ma ben presto un grande acquazzone li colpì e furono costretti a rifugiarsi presso dei conoscenti. Quando la pioggia si fu placata, allora insieme ripresero il cammino, discutendo amichevolmente. Mentre ancora parlavano, Forese disse che chi non avesse conosciuto Giotto di persona e le sue opere, avrebbe con difficoltà creduto che fosse il più grande dei pittori. A ciò Giotto, a sua volta, rispose che chiunque non avesse conosciuto di persona Forese avrebbe di certo dubitato che fosse così dotto.

    SESTA NOVELLA (FIAMMETTA)
    Viveva tempo fa a Firenze un certo Michele Scalza, un giovane molto spiritoso che un giorno si trovò con un'allegra brigata sulla collinetta di Montughi. Tra i giovani nacque una discussione su quale fosse la famiglia più antica di Firenze. Allora lo Scalza, affermò che secondo lui gli uomini più antichi del mondo erano quelli del casato dei Baronci. Come risposta vi fu una risata generale, ma lo Scalza insistette e disse che si sarebbe rimesso ad un giudice, e che se avesse perso, avrebbe pagato la cena a tutti. Un certo Neri Mannini accettò la sfida e, scelse come arbitro il padrone di casa Piero di Fiorentino. Il giudice ascoltò prima le ragioni del Neri e poi dette la parola allo Scalza. Lo Scalza difese la sua posizione affermando che Dio, quando ancora non aveva imparato a disegnare bene, aveva creato i Baronci, solo in seguito, quando aveva preso pratica con la matita, aveva creato tutti gli altri uomini, e ciò si poteva constatare osservando bene tutti i difetti estetici che i Baronci avevano. A questa conclusione tutti sentenziarono che lo Scalza aveva vinto la cena.

    SETTIMA NOVELLA (FILOSTRATO)

    A Prato accadde che una donna di nome Filippa, fu sorpresa dal marito fra le braccia di Lazzarino dei Guazzagliotri, un nobile giovane di quella città. Il marito, Rinaldo, denunciò allora la moglie e la trascinò in tribunale. Qui, Filippa confessò con franchezza di essere stata sorpresa dal marito tra le braccia del suo amante. Aggiunse però che quando era stata approvata la legge che condannava a morte le adultere, le donne non erano state chiamate a dire la loro e che quindi si trattava di una legge radicalmente ingiusta. Inoltre chiese al marito se mai aveva mancato ai suoi doveri di moglie. Rinaldo rispose allora che mai gli si era rifiutata. La donna quindi affermò che se il marito aveva sempre ricevuto da lei ciò di cui aveva avuto bisogno, cosa avrebbe dovuto fare lei di ciò che lui le aveva lasciato, “avrebbe dovuto gittarlo a’ cani”? In seguito a ciò, dopo una grande risata fu deciso di condannare al rogo le donne che avessero commesso adulterio per denaro.

    OTTAVA NOVELLA (EMILIA)
    Un certo Fresco da Celatico aveva una nipote chiamata Cesca, una donna altera e sussiegosa, che aveva la cattiva abitudine di criticare malevolmente tutto e tutti, senza mai guardare se stessa. Un giorno Cesca se ne andò a casa di Fresco e gli si sedette accanto, sbuffando e sospirando. Lo zio le chiese come mai, in un giorno di festa, se ne fosse tornata a casa molto prima del tempo. Cesca rispose che era tornata a casa perché, in quella città, tutti gli abitanti, uomini e donne, erano talmente fastidiosi e antipatici, che passando per la strada aveva la sensazione di incontrarsi con la sventura fatta persona. Fresco le disse allora duramente: « Figliola, se le persone antipatiche e spiacevoli ti danno tanto fastidio, segui il mio consiglio: non ti specchiare mai ». Ma la ragazza, convinta di essere saggia, ma in realtà molto stupida, non capì la frase di Fresco e affermò, che avrebbe continuato a specchiarsi come tutte le donne.

    NONA NOVELLA (ELISSA)
    Un'usanza dell’aristocrazia di Firenze era quella di formare liete brigate di gentiluomini, cui partecipavano anche gentiluomini forestieri. Una di queste brigate di giovani cavalieri era capeggiata da Betto Brunelleschi, un giovane coraggioso, il quale desiderava che nel gruppo entrasse il celebre poeta e filosofo Guido Cavalcanti: per dare prestigio alla brigata. Un giorno, Cavalcanti si trovava dalle parti di San Giovanni, dove a quel tempo c'era il camposanto con grandi sarcofagi di pietra. Passava di lì la brigata di Betto Brunelleschi che pensò di andare a punzecchiare il poeta. Tutti gli si avvicinarono stringendolo con i cavalli contro i sarcofagi di pietra e si misero quindi a scherzare e a prenderlo in giro. Allora il poeta disse: «Egregi signori, a casa vostra voi potete dire tutto quello che vi piace» e se ne andò. I giovani non capirono, ma Betto Brunelleschi, che era il più sveglio di tutti, spiegò: «Guido ci ha offeso con eleganza infatti ci ha detto che siamo come dei morti perché siamo ignoranti e di conseguenza noi qui al camposanto siamo come a casa nostra». Da quel giorno nessuno della brigata osò più infastidire il poeta.

    DECIMA NOVELLA (DIONEO)

    Tutte le estati veniva a Certaldo un tale fra’ Cipolla. Costui rivolgendosi ai credenti dopo la messa, li pregò di tornare la sera stessa sul sagrato della chiesa, poiché avrebbe mostrato loro un’antica reliquia: una penna dell’Arcangelo Gabriele che egli perse quando andò da Maria per annunciarle la divina nascita. Due giovinetti, Bragonieri e Pizzini, architettarono allora uno scherzo ai danni del frate. Sapendo che sarebbe andato a pranzo da un suo amico nobile, corsero all'albergo dove il frate teneva le sue bisacce, per derubargli la santa reliquia e per mettere alla prova l'inventiva di costui, quando si fosse trovato privo di questa davanti alla folla dei credenti. Il servo di fra' Cipolla, Guccio Imbratta era rimasto nell'albergo per custodire le cose del frate; ma, essendo innamorato una servetta che lavorava nell’albergo, abbandonò tutto per precipitarsi dalla sua amata. I due burloni, ne approfittarono: andarono nella stanza del frate e, vista la cassetta con la penna, la sostituirono con dei pezzetti di carbone trovati nel caminetto della stanza e se la squagliarono. La sera, Guccio portò al frate le sue bisacce. Costui, presa la cassetta con la penna dell'Arcangelo Gabriele, la aprì, ma vedendo come stavano le cose, la richiuse precipitosamente, maledicendo in silenzio Guccio. Quindi, senza battere ciglio, cominciò a raccontare alla folla che, quando era ancora giovane, era stato inviato dai suoi superiori in Terrasanta, dove aveva conosciuto il venerabile padre Nonmiscocciate Seavoipiace, il quale, gli aveva fatto vedere tutte le sante reliquie che custodiva con venerazione e gliene aveva regalata qualcuna tra cui un dente della santa Croce, una piccola ampolla con il suono delle campane del tempio di Salomone, la penna dell'Arcangelo Gabriele e i carboni del fuoco che aveva bruciato san Lorenzo. Visto però che sia la penna dell'angelo sia i carboni di San Lorenzo erano custoditi in due scatole identiche a volte egli si sbagliava, proprio come in quell’occasione in cui infatti, invece della penna, aveva preso i carboni e, visto che tra due giorni sarebbe stata proprio la festa di quel santo, pregò i fedeli di togliersi i berretti ed avvicinarsi a lui per essere segnati con quei carboni che tanto non si consumavano mai, assicurandoli che chi fosse stato segnato con essi, per un anno intero non sarebbe stato bruciato dal fuoco senza che non se ne fosse accorto. In tal modo il furbo frate raccolse un bel po' di offerte.

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    Il mio Simonfrutta

4 replies since 30/8/2009
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