I Promessi Sposi: le vicende riassunte in poche pagine

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  1. Milea
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    I Promessi Sposi

    Le vicende riassunte in poche pagine



    Nella «Introduzione», il Manzoni immagina di aver scoperto, in un vecchio manoscritto anonimo del XVII secolo (quando la Lombardia era sottoposta alla dominazione spagnola), la storia di due giovani operai innamorati, ma impediti nel loro matrimonio da un prepotente signorotto del tempo.
    E’ una vicenda di gente umile e semplice: così il Manzoni, nascosto dietro l'anonimo autore, afferma la sua adesione al principio romantico e innovativo, di rivolgere l'interesse artistico letterario verso le classi popolari.
    Il Manzoni trascrive il primo passo dell'immaginario manoscritto, nello stile gonfio e ampolloso caratteristico di quel secolo, ma prosegue poi cambiando stile e spiegando di voler narrare la storia con un linguaggio nuovo e più comprensibile, che troverà la sua giustificazione nelle pagine stesse dell'opera.

    “Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte di monti, tutto a seni e a golfi, a seconda dello sporgere e del rientrare di quelli, vien, quasi a un tratto, a ristringersi, e a prender corso e figura di fiume, tra un promontorio a destra, e un'ampia costiera dall'altra parte; e il ponte, che ivi congiunge le due rive, par che renda ancor più sensibile all'occhio questa trasformazione, e segni il punto in cui il lago cessa, e l'Adda rincomincia, per ripigliar poi nome di lago dove le rive, allontanandosi di nuovo, lascian l'acqua distendersi e rallentarsi in nuovi golfi e in nuovi seni.”




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    Scena 1: Don Abbondio e i Bravi (Capitolo I)

    È descritto ampiamente il territorio montuoso di Lecco, a ridosso di «quel ramo del lago di Como», che da Lecco appunto prende nome. L'azione incomincia con una data precisa, la sera del 7 novembre 1628, quando, in una delle stradicciole sulla costiera, un parroco di campagna, don Abbondio, incontra due «bravi» (due gorilla, due killer, diremmo oggi) di un signorotto del tempo, don Rodrigo, che in nome del loro padrone gli ingiungono di non celebrare il matrimonio, già fissato per il giorno dopo, tra i due giovani operai Renzo Tramaglino e Lucia Mondella. Il parroco, spaventato, promette obbedienza. Giunto alla canonica, pressato dalla serva Perpetua, rivela le ragioni del suo turbamento e va a letto più morto che vivo.

    “Due uomini stavano, l'uno dirimpetto all'altro, al confluente, per dir così, delle due viottole: un di costoro, a cavalcioni sul muricciolo basso, con una gamba spenzolata al di fuori, e l'altro piede posato sul terreno della strada; il compagno, in piedi, appoggiato al muro, con le braccia incrociate sul petto…
    …ma quel che più dispiacque a don Abbondio fu il dover accorgersi, per certi atti, che l'aspettato era lui…
    …Egli, tenendosi sempre il breviario aperto dinanzi, come se leggesse, spingeva lo sguardo in su, per ispiar le mosse di coloro; e, vedendoseli venir proprio incontro, fu assalito a un tratto da mille pensieri…
    …- Or bene, - gli disse il bravo, all'orecchio, ma in tono solenne di comando, - questo matrimonio non s'ha da fare, né domani, né mai…”






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    Scena 2: Don Abbondio rifiuta di celebrare le nozze (Capitolo II)

    Al mattino successivo, quando Renzo si reca alla chiesa, apprende che per alcune formalità il matrimonio deve rinviarsi.
    Poco convinto, sul punto di andarsene, vede Perpetua che non può fare a meno di fargli intendere che le ragioni sono ben altre.
    Nuovo colloquio tempestoso con don Abbondio, costretto da Renzo a rivelare che l'impedimento è don Rodrigo, il signorotto del paese.
    Renzo si precipita a casa di Lucia.

    “Comparve davanti a don Abbondio, in gran gala, con penne di vario colore al cappello …
    …- Oggi? - replicò don Abbondio, come se ne sentisse parlare per la prima volta. - Oggi, oggi... abbiate pazienza, ma oggi non posso - …
    …- Via, caro Renzo, non andate in collera, che son pronto a fare... tutto quello che dipende da me. Io, io vorrei vedervi contento; vi voglio bene io. Eh!... quando penso che stavate così bene; cosa vi mancava? V'è saltato il grillo di maritarvi...”






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    Scena 3: Renzo va dal dottor Azzeccagarbugli (Capitolo III)
    Lucia è in casa con la madre Agnese e le amiche, in attesa dello sposo.
    A Renzo, che sopraggiunge ansioso e pretende spiegazioni, essa confessa di essere stata fermata per strada, di ritorno dal lavoro nella filanda, da don Rodrigo che le ha rivolto parole poco belle.
    Aggiunge di aver rivelato la cosa a padre Cristoforo, il suo confessore e di essere stata consigliata da lui a tacere e affrettare le nozze.
    Renzo, indignato, vorrebbe compiere spropositi.
    Agnese lo spinge piuttosto ad andare a Lecco da un avvocato: Renzo va dal dottor Azzeccagarbugli, portando i capponi, ma l'avvocato, quando apprende che c'è di mezzo don Rodrigo, lo butta fuori di casa.

    “-…Fate a mio modo, Renzo; andate a Lecco; cercate del dottor Azzecca-garbugli...
    …Pigliate quei quattro capponi, poveretti! a cui dovevo tirare il collo, per il banchetto di domenica, e portateglieli; perché non bisogna mai andar con le mani vote da que' signori. Raccontategli tutto l'accaduto…-“






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    Scena 4: Padre Cristoforo “il pane del perdono” (Capitolo IV)

    Padre Cristoforo, avvertito da Lucia, esce dal suo convento di Pescarenico e si reca alla casa delle due donne.
    Il capitolo è in gran parte occupato dalla narrazione della giovinezza del frate: figlio di un facoltoso mercante, aveva ricevuto una raffinata educazione.
    Venuto un giorno a diverbio con un nobile, l'aveva ucciso in duello; quindi, per espiazione, s'era fatto frate, mutando il nome di Lodovico in quello di Cristoforo.
    Il nostro Cristoforo, ottenuto il perdono dal fratello del nobile ucciso, prima di accomiatarsi chiese un pane, da portare sempre con sé, come segno tangibile del perdono.

    “-…Io sto per mettermi in viaggio: si degni di farmi portare un pane, perché io possa dire d'aver goduto la sua carità, d'aver mangiato il suo pane, e avuto un segno del suo perdono …-
    ...Fermandosi, all'ora della refezione, presso un benefattore, mangiò, con una specie di voluttà, del pane del perdono: ma ne serbò un pezzo, e lo ripose nella sporta, per tenerlo, come un ricordo perpetuo.”





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    Scena 5: Padre Cristoforo da don Rodrigo (Cap. V)

    Parlato con le due donne, Padre Cristoforo si reca da don Rodrigo per convincerlo a desistere dal suo proposito.
    Al palazzo del signorotto, è ricevuto in sala da pranzo ove è in corso un banchetto, cui il padrone di casa ha invitato un suo cugino, il conte Attilio, e altri personaggi importanti del paese.
    Si discute della guerra in corso per la successione del ducato di Mantova, si brinda all'abbondanza (mentre nelle campagne infuria la fame) e si disserta su futili questioni d'onore.
    Padre Cristoforo è chiamato a dir la sua.

    “…ma congedare un cappuccino, senza avergli dato udienza, non era secondo le regole della sua politica. Poiché la seccatura non si poteva scansare, si risolvette d'affrontarla subito, e di liberarsene; s'alzò da tavola, e seco tutta la rubiconda brigata, senza interrompere il chiasso.
    Chiesta poi licenza agli ospiti, s'avvicinò, in atto contegnoso, al frate, che s'era subito alzato con gli altri; gli disse: - eccomi a' suoi comandi -; e lo condusse in un'altra sala.”





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    Scena 6: Colloquio di Padre Cristoforo e don Rodrigo (Capitolo VI)

    Finalmente don Rodrigo riceve in disparte Padre Cristoforo. Il frate accusa il signore di perseguitare Lucia e gli minaccia la vendetta di Dio.
    Don Rodrigo scaccia il frate che prima di lasciare il palazzo ha la promessa di un vecchio e buon servitore che sarà avvertito degli eventuali progetti infami del suo padrone.
    Intanto, in casa di Lucia, Agnese espone ai due giovani il progetto di strappare il matrimonio a don Abbondio, presentandosi a lui con due testimoni e dichiarando l'intenzione di sposarsi.
    Sembra che secondo l'uso il matrimonio sarà così ugualmente valido. Lucia è riluttante; Renzo, entusiasta, esce in cerca dei due testimoni e li trova in Tonio, cui promette di pagare un debito che costui ha col curato, e nel fratello di lui, Gervaso.

    “La vostra protezione! - esclamò, dando indietro due passi, postandosi fieramente sul piede destro, mettendo la destra sull'anca, alzando la sinistra con l'indice teso verso don Rodrigo, e piantandogli in faccia due occhi infiammati:
    -la vostra protezione! È meglio che abbiate parlato così, che abbiate fatta a me una tale proposta. Avete colmata la misura; e non vi temo più.-“





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    Scena 7: Renzo Lucia Agnese (Capitolo VII)
    Padre Cristoforo annuncia desolato alle due donne il fallimento della sua missione.
    Furore di Renzo, Lucia acconsente all'idea della madre Agnese.
    Intanto nel paese si vede gente strana, e un mendicante va alla casetta di Lucia a chiedere l'elemosina con l'aria di esplorare il luogo.
    Sono gli uomini di don Rodrigo che studiano il modo di rapire Lucia, agli ordini del capo dei bravi, il Griso.
    A sera, i due giovani, Agnese e i testimoni s'avviano in silenzio verso la casa di don Abbondio.

    “Sebbene nessuno dei tre sperasse molto nel tentativo del padre Cristoforo,…
    … la trista certezza fu un colpo per tutti.
    Le donne abbassarono il capo; ma nell'animo di Renzo, l'ira prevalse all'abbattimento.”







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    Scena 8: Fallimento del matrimonio a sorpresa (Cap. VIII)

    È il capitolo della «notte degli imbrogli», che comincia col fallimento del tentativo di matrimonio «a sorpresa»; don Abbondio con furia inusitata, si libera degli intrusi e dà l'allarme: il campanaro Ambrogio, credendo la canonica invasa dai ladri, suona la campana a martello. Il gruppo di Renzo cerca scampo per la campagna. Sono sorpresi anche i bravi che in azione per rapire Lucia, hanno trovato vuota la sua casa; e così anche un ragazzetto, Menico, che padre Cristoforo ha mandato alla casa di Lucia a scongiurarla di correre da lui, viene bloccato dai bravi, che tuttavia, spaventati dall'allarme , lo lasciano libero. Così Menico riesce ad incontrare il gruppo di Renzo e ad avvertire i fuggitivi di recarsi al convento. Tra i due gruppi in fuga, s'inserisce l'agitazione del paese che, svegliato, non riesce a capire che cosa stia succedendo. Renzo e le due donne giungono al convento dove trovano già organizzata da padre Cristoforo la loro fuga dal paese, per sottrarsi alle minacce di don Rodrigo.

    “…apparvero Renzo e Lucia. Don Abbondio, vide confusamente, poi vide chiaro, si spaventò, si stupì, s'infuriò…
    ... Renzo mise a proferire le parole: - signor curato, in presenza di questi testimoni, quest'è mia moglie -…. La poveretta, con quella sua voce soave, e allora tutta tremante, aveva appena potuto proferire: - e questo... - che don Abbondio le aveva buttato sgarbatamente il tappeto sulla testa e sul viso, per impedirle di pronunziare intera la formola. … … e intanto gridava quanto n'aveva in canna: - Perpetua! Perpetua! tradimento! aiuto! -…”





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    Scena 9: I tre fuggiaschi (Capitolo IX)

    Le due donne andranno a Monza, Renzo a Milano, muniti di lettere di presentazione per i cappuccini, amici del padre.
    I tre fuggiaschi s'imbarcano e in piena notte attraversano il lago.
    A Monza, mentre Renzo prosegue per Milano, Lucia e Agnese vengono ospitate nel convento di una «Signora» (la monaca di Monza) di cui l'Autore ci narra la storia.
    Il suo nome è Gertrude; figlia di un principe milanese, è stata monacata dai suoi con crudele determinazione, nonostante il suo carattere lontano da ogni vocazione religiosa.

    “… guardò da quella parte, e vide una finestra d'una forma singolare, con due grosse e fitte grate di ferro, distanti l'una dall'altra un palmo; e dietro quelle una monaca ritta. Il suo aspetto, che poteva dimostrar venticinque anni, faceva a prima vista un'impressione di bellezza, ma d'una bellezza sbattuta, sfiorita e, direi quasi, scomposta. Un velo nero, sospeso e stirato orizzontalmente sulla testa, cadeva dalle due parti, discosto alquanto dal viso; sotto il velo, una bianchissima benda di lino cingeva, fino al mezzo, una fronte di diversa, ma non d'inferiore bianchezza; un'altra benda a pieghe circondava il viso, e terminava sotto il mento in un soggolo, che si stendeva alquanto sul petto, a coprire lo scollo d'un nero saio…”





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    Scena 10: Suor Gertrude (Capitolo X)

    Continua la storia di suor Gertrude: costretta al convento, essa ha segretamente allacciato una relazione amorosa con un giovane, Egidio, «scellerato di professione», che abita nella casa confinante col giardino interno del monastero.
    La relazione dura già da tempo e circa un anno prima ha avuto un momento drammatico: Gertrude aiutata dall'amante, ha fatto scomparire una conversa, che aveva scoperto la loro tresca.

    “Gertrude fu accettata. Lei medesima, stanca di quel lungo strazio, chiese allora d'entrar più presto che fosse possibile, nel monastero. Non c'era sicuramente chi volesse frenare una tale impazienza. Fu dunque fatta la sua volontà; e, condotta pomposamente al monastero, vestì l'abito. Dopo dodici mesi di noviziato, pieni di pentimenti e di ripentimenti, si trovò al momento della professione, al momento cioè in cui conveniva, o dire un no più strano, più inaspettato, più scandaloso che mai, o ripetere un sì tante volte detto; lo ripetè, e fu monaca per sempre.”




    Edited by Milea - 24/6/2014, 21:45
     
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