I Promessi Sposi: le vicende riassunte in poche pagine

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  1. Milea
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    Sono così tanti a zoppicare che chi cammina dritto, pare in difetto!

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    Scena 32: Ritorno di Renzo al paese (Capitolo XXXIII)

    Tra i colpiti dalla peste è don Rodrigo, tradito dal Griso e consegnato ai monatti, i raccoglitori di morti e contagiati. Renzo, superata la malattia, si mette in cerca di Lucia, torna al paese, dove trova la desolazione; da don Abbondio apprende che Perpetua è morta insieme con molti altri, che Agnese è presso parenti a Pasturo e che Lucia è a Milano, presso la famiglia di don Ferrante.

    “Ed ecco spuntar da una cantonata, e venire avanti una cosa nera, che riconobbe subito per don Abbondio. Camminava adagio adagio, portando il bastone come chi n'è portato a vicenda; e di mano in mano che s'avvicinava, sempre piú si poteva conoscere nel suo volto pallido e smunto, e in ogni atto, che anche lui doveva aver passata la sua burrasca. Guardava anche lui; gli pareva e non gli pareva: vedeva qualcosa di forestiero nel vestiario; ma era appunto forestiero di quel di Bergamo. “E' lui senz'altro!” disse tra sé, e alzò le mani al cielo, con un movimento di maraviglia scontenta, restandogli sospeso in aria il bastone che teneva nella destra; e si vedevano quelle povere braccia ballar nelle maniche, dove altre volte stavano appena per l'appunto. Renzo gli andò incontro, allungando il passo, e gli fece una riverenza; ché, sebbene si fossero lasciati come sapete, era però sempre il suo curato. “Siete qui, voi ?” esclamò don Abbondio. “Son qui, come lei vede. Si sa niente di Lucia?” “Che volete che se ne sappia? Non se ne sa niente. E' a Milano, se pure è ancora in questo mondo ...”





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    Scena 33: “La madre di Cecilia” ( Capitolo XXXIV )

    Renzo entra in Milano. Assiste all'episodio patetico della madre di Cecilia, la bambina morta di peste: consegnandone il corpo al monatto la madre dice “…verso sera salirete a prendere anche me…” . Trovata la casa di don Ferrante, apprende che Lucia è al lazzaretto, l'ospedale degli appestati. Scambiato per un untore, riesce a stento a sottrarsi a un gruppetto di gente imbestialita.

    “Portava essa in collo una bambina di forse nov'anni, morta; ma tutta ben accomodata, co' capelli divisi sulla fronte, con un vestito bianchissimo, come se quelle mani l'avessero adornata per una festa promessa da tanto tempo, e data per premio. Né la teneva a giacere, ma sorretta, a sedere sur un braccio, col petto appoggiato al petto, come se fosse stata viva; se non che una manina bianca a guisa di cera spenzolava da una parte, con una certa inanimata gravezza, e il capo posava sull'omero della madre, con un abbandono piú forte del sonno… …La madre, dato a questa un bacio in fronte, la mise lì come sur un letto, ce l'accomodò, le stese sopra un panno bianco, e disse l'ultime parole: “addio, Cecilia! riposa in pace! Stasera verremo anche noi, per restar sempre insieme. Prega intanto per noi; ch'io pregherò per te e per gli altri.” Poi voltatasi di nuovo al monatto, “voi,” disse, “passando di qui verso sera, salirete a prendere anche me, e non me sola.”





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    Scena 34: Il lazzaretto (Capitolo XXXV)
    Renzo entra nel lazzaretto: l’organizzazione imposta dai cappuccini domina sul brulicar di sani e malati, serventi e folli, impazziti per la peste.
    E’ un luogo di grandi sofferenze.

    “S'immagini il lettore il recinto del lazzeretto, popolato di sedici mila appestati; quello spazio tutt'ingombro, dove di capanne e di baracche, dove di carri, dove di gente; quelle due interminate fughe di portici, a destra e a sinistra, piene, gremite di languenti o di cadaveri confusi, sopra sacconi, o sulla paglia; e su tutto quel quasi immenso covile, un brulichìo, come un ondeggiamento; e qua e là, un andare e venire, un fermarsi, un correre, un chinarsi, un alzarsi, di convalescenti, di frenetici, di serventi.
    Tale fu lo spettacolo che riempì a un tratto la vista di Renzo, e lo tenne lì, sopraffatto e compreso.
    Questo spettacolo, noi non ci proponiam certo di descriverlo a parte a parte, né il lettore lo desidera; solo, seguendo il nostro giovine nel suo penoso giro, ci fermeremo alle sue fermate, e di ciò che gli toccò di vedere diremo quanto sia necessario a raccontar ciò che fece, e ciò che gli seguì.”






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    Scena 35: Lazzaretto (Capitolo XXXV)

    Renzo vede un primo gruppo di malati, tenuti in un recinto a parte: è quello dei bambini, allevati da nutrici e capre: alcuni sono neonati e richiedono costante cura ed attenzione

    “…nella varietà de' lamenti e nella confusione del mormorìo, cominciò a distinguere un misto singolare di vagiti e di belati; fin che arrivò a un assito scheggiato e sconnesso, di dentro il quale veniva quel suono straordinario.
    Mise un occhio a un largo spiraglio, tra due asse, e vide un recinto con dentro capanne sparse, e, così in quelle, come nel piccol campo, non la solita infermeria, ma bambinelli a giacere sopra materassine, o guanciali, o lenzoli distesi, o topponi; e balie e altre donne in faccende; e, ciò che piú di tutto attraeva e fermava lo sguardo, capre mescolate con quelle, e fatte loro aiutanti: uno spedale d'innocenti, quale il luogo e il tempo potevan darlo.
    Era, dico, una cosa singolare a vedere alcune di quelle bestie, ritte e quiete sopra questo e quel bambino, dargli la poppa;…
    …Qua e là eran sedute balie con bambini al petto; alcune in tal atto d'amore, da far nascer dubbio nel riguardante, se fossero state attirate in quel luogo dalla paga, o da quella carità spontanea che va in cerca de' bisogni e de' dolori….”




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    Scena 36: Don Rodrigo al lazzaretto (Capitolo XXXV)

    Nel lazzaretto, trova padre Cristoforo, tornato da Rimini a curare gli appestati, che gli mostra don Rodrigo morente. Superati i propositi vendicativi, Renzo lo perdona.

    “Renzo intanto, girando, con una curiosità inquieta, lo sguardo sugli altri oggetti, vide tre o quattro infermi, ne distinse uno da una parte sur una materassa, involtato in un lenzolo, con una cappa signorile indosso, a guisa di coperta: lo fissò, riconobbe don Rodrigo, e fece un passo indietro; ma il frate, facendogli di nuovo sentir fortemente la mano con cui lo teneva, lo tirò appiè del covile, e, stesavi sopra l'altra mano, accennava col dito l'uomo che vi giaceva.
    Stava l'infelice, immoto; spalancati gli occhi, ma senza sguardo; pallido il viso e sparso di macchie nere; nere ed enfiate le labbra: l'avreste detto il viso d'un cadavere, se una contrazione violenta non avesse reso testimonio d'una vita tenace.
    Il petto si sollevava di quando in quando, con un respiro affannoso; la destra, fuor della cappa, lo premeva vicino al cuore, con uno stringere adunco delle dita, livide tutte, e sulla punta nere.”





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    Scena 37: Renzo incontra al lazzaretto Lucia e Padre Cristoforo (Capitolo XXXVI)

    Renzo incontra finalmente Lucia.
    L'amarezza per la riconferma del voto fatto alla Madonna, è risolta da padre Cristoforo, che scioglie Lucia dal voto. Lucia resta con una ricca signora che ha perduto i suoi e l'ha presa a ben volere, mentre Renzo torna ad avvertire Agnese del prossimo ritorno della figliola.

    “Il frate chiamò con un cenno il giovine, il quale se ne stava nel cantuccio il più lontano, guardando (giacché non poteva far altro) fisso fisso al dialogo in cui era tanto interessato; e, quando quello fu lì, disse, a voce più alta, a Lucia: “con l'autorità che ho dalla Chiesa, vi dichiaro sciolta dal voto di verginità, annullando ciò che ci poté essere d'inconsiderato, e liberandovi da ogni obbligazione che poteste averne contratta.”
    Pensi il lettore che suono facessero all'orecchio di Renzo tali parole.
    Ringraziò vivamente con gli occhi colui che le aveva proferite; e cercò subito, ma invano, quelli di Lucia. “Tornate, con sicurezza e con pace, ai pensieri d'una volta,” seguì a dirle il cappuccino: “chiedete di nuovo al Signore le grazie che Gli chiedevate, per essere una moglie santa; e confidate che ve le concederà più abbondanti, dopo tanti guai...”






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    Scena 38: Renzo ritorna al paese e si incontra con Agnese (Capitolo XXXVII)
    Uscito dal lazzaretto Renzo è sorpreso da un temporale, quello che porterà via la peste.
    Si incontra con Agnese, torna a Bergamo dal cugino per cercarsi una casa, è di nuovo al paesello ad attendervi Lucia che, trascorsa la quarantena, si accinge a ritornare. Apprende della morte di padre Cristoforo, di donna Prassede e don Ferrante, e del processo contro la monaca di Monza.

    “Agnese gl'indicò un orto ch'era dietro alla casa; e soggiunse: “entrate 1ì, e vedrete che c'è due panche, l'una in faccia all'altra, che paion messe apposta. Io vengo subito.” Renzo andò a mettersi a sedere sur una: un momento dopo, Agnese si trovò lì sull'altra: e son certo che, se il lettore, informato come è delle cose antecedenti, avesse potuto trovarsi lì in terzo, a veder con gli occhi quella conversazione così animata, a sentir con gli orecchi que' racconti, quelle domande, quelle spiegazioni, quell'esclamare, quel condolersi, quel rallegrarsi, e don Rodrigo, e il padre Cristoforo, e tutto il resto, e quelle descrizioni dell'avvenire, chiare e positive come quelle del passato, son certo, dico, che ci avrebbe preso gusto, e sarebbe stato l'ultimo a venir via. Ma d'averla sulla carta tutta quella conversazione, con parole mute, fatte d'inchiostro, e senza trovarci un solo fatto nuovo, son di parere che non se ne curi molto, e che gli piaccia più d'indovinarla da sé. La conclusione fu che s'anderebbe a metter su casa tutti insieme in quel paese del bergamasco dove Renzo aveva già un buon avviamento...”




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    Scena 39: Le nozze (Capitolo XXXVIII)

    Lucia ritorna al paese. Don Abbondio si decide finalmente a celebrare le nozze dei due giovani, ma solo quando viene a sapere che il palazzo di don Rodrigo è ora occupato dall'erede, un marchese, «bravissim'uomo» che sentita la storia di Lucia e di Renzo, è disposto ad acquistare ad alto prezzo le loro casette e a liberare Renzo dall'imbroglio di Milano.
    I due sposi, con Agnese, si trasferiscono a Bergamo, dove la famiglia e gli affari prosperano.
    Lucia chiude il romanzo con la celebre morale «..lo non sono andata a cercare i guai: sono loro che sono venuti a cercar me... i guai vengono bensì spesso perché ci si è dato cagione; ma la condotta più cauta e più innocente non basta a tenerli lontani...».

    “Venne la dispensa, venne l'assolutoria, venne quel benedetto giorno: i due promessi andarono, con sicurezza trionfale, proprio a quella chiesa, dove, proprio per bocca di don Abbondio, furono sposi… …Dopo un lungo dibattere e cercare insieme, conclusero che i guai vengono bensì spesso, perché ci si è dato cagione; ma che la condotta piú cauta e piú innocente non basta a tenerli lontani; e che quando vengono, o per colpa o senza colpa, la fiducia in Dio li raddolcisce, e li rende utili per una vita migliore. Questa conclusione, benché trovata da povera gente,
    c'è parsa così giusta, che abbiam pensato di metterla qui, come il sugo di tutta la storia. La quale, se non v'è dispiaciuta affatto,vogliatene bene a chi l'ha scritta,
    e anche un pochino a chi l'ha raccomodata. Ma se in vece fossimo riusciti ad annoiarvi, credete che non s'è fatto apposta.”
    Fonte




    Edited by Milea - 24/6/2014, 21:48
     
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