GIUSEPPE UNGARETTI: sentimento di un uomo

Poesie di Giuseppe Ungaretti - 08/02/1888 – 01/06/1970

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    Pietà


    Sono un uomo ferito.
    E me ne vorrei andare
    E finalmente giungere,
    Pietà, dove si ascolta
    L'uomo che è dolo con sé.

    Non ho che superbia e bontà.
    E mi sento esiliato in mezzo agli uomini.
    Ma per essi sto in pena.
    Non sarei degno di tornare in me?

    Ho popolato di nomi il silenzio.
    Ho fatto a pezzi cuore e mente
    Per cadere in servitù di parole?
    Regno sopra fantasmi.

    O figlie secche,
    Anima portata qua e là...
    No, odio il vento e la sua voce
    Di bestia immemorabile.

    Dio, coloro che t'implorano
    Non ti conoscono più che di nome?
    M'hai discacciato dalla vita.
    Mi discaccerai dalla morte?
    Forse l'uomo è anche indegno di sperare.

    Anche la fonte del rimorso è secca?
    Il peccato che importa,
    Se alla purezza non conduce più.

    La carne si ricorda appena
    che una volta fu forte.

    E' folle e usata, l'anima.
    Dio, guarda la nostra debolezza.
    Vorremmo una certezza.
    Di noi nemmeno più ridi?

    E compiangici dunque, crudeltà.
    Non ne posso più di stare murato
    Nel desiderio senza amore.
    Una traccia mostraci di giustizia.

    La tua legge qual è?
    Fulmina le mie povere emozioni,
    Liberami dall'inquietudine.
    Sono stanco di urlare senza voce.

    Malinconiosa carne
    Dove una volta pullulò la gioia,
    Occhi socchiusi del risveglio stanco,
    Tu vedi, anima troppo matura,
    Quel che sarò, caduto nella terra?

    E' nei vivi la strada dei defunti,
    Siamo noi la fiumana d'ombre,
    Sono esse il grano che ci scoppia in sogno,
    Loro è la lontananza che ci resta,

    E loro è l'ombra che dà peso ai nomi.
    La speranza d'un mucchio d'ombra
    E null'altro è la nostra sorte?
    E tu non saresti che un sogno, Dio?

    Almeno un sogno, temerari,
    Vogliamo ti somigli.
    E' parto della demenza più chiara.

    Non trema in nuvole di rami
    Come passeri di mattina
    Al filo delle palpebre.

    In noi sta e langue, piaga misteriosa.
    La luce che ci punge
    E' un filo sempre più sottile.
    Più non abbagli tu, se non uccidi?
    Dammi questa gioia suprema.

    L'uomo, monotono universo,
    Crede allargarsi i beni
    E dalle sue mani febbrili
    Non escono senza fine che limiti.

    Attaccato sul vuoto
    Al suo filo di ragno,
    Non teme e non seduce
    Se non il proprio grido.

    Ripara il logorio alzando tombe,
    E per pensarti, Eterno,
    Non ha che le bestemmie.

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    L'angelo del povero


    Ora che invade le oscurate menti
    Più aspra pietà del sangue e della terra,
    Ora che ci misura ad ogni palpito
    Il silenzio di tante ingiuste morti,

    Ora si svegli l'angelo del povero,
    Gentilezza superstite dell'anima...

    Col gesto inestinguibile dei secoli
    Discenda a capo del suo vecchio popolo,
    In mezzo alle ombre...

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    Monotonia


    Fermato a due sassi
    languisco
    sotto questa
    volta appannata
    di cielo

    Il groviglio dei sentieri
    possiede la mia cecità

    Nulla è più squallido
    di questa monotonia

    Una volta
    non sapevo
    ch'è una cosa
    qualunque
    perfino
    la consunzione serale
    del cielo

    E sulla mia terra africana
    calmata
    a una arpeggio
    perso nell'aria
    mi rinnovavo.

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    Il lampo della bocca


    Migliaia d'uomini prima di me,
    Ed anche più di me carichi d'anni,
    Mortalmente ferì
    Il lampo d'una bocca.


    Questo non è motivo
    Che attenuerà il soffrire.

    Ma se mi guardi con pietà,
    E mi parli, si diffonde una musica,
    Dimentico che brucia la ferita.

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    Italia


    Sono un poeta
    un grido unanime
    sono un grumo di sogni

    Sono un frutto
    d'innumerevoli contrasti d'innesti
    maturato in una serra

    Ma il tuo popolo è portato
    dalla stessa terra
    che mi porta
    Italia

    E in questa uniforme
    di tuo soldato
    mi riposo
    come fosse la culla
    di mio padre.

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    Incontro a un pino


    E quando all'ebbra spuma le onde punse
    Clamore di crepuscolo abbagliandole,
    In Patria mi rinvenni
    Dalla foce del fiume mossi i passi
    D'ombre mutava il tempo,
    D'arco in arco poggiate
    Le vibratili ciglia malinconico
    Verso un pino aereo attorto per i fuochi
    D'ultimi raggi supplici
    Che, ospite ambito di pietrami memori,
    Invito macerandosi protrasse.

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    Pellegrinaggio


    In agguato
    in queste budella
    di macerie
    ore e ore
    ho strascicato
    la mia carcassa
    usata dal fango
    come una suola
    o come un seme
    di spinalba

    Ungaretti
    uomo di pena
    ti basta un'illusione
    per farti coraggio

    Un riflettore
    di là
    mette un mare
    nella nebbia.

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    L'impietrito e il velluto


    Roma, notte del 31 dicembre 1969 - mattina del 1° gennaio 1970

    Ho scoperto le barche che molleggiano
    Sole, e le osservo non so dove, solo.

    Non accadrà le accosti anima viva.

    Impalpabile dito di macigno
    Ne mostra di nascosto al sorteggiato
    Gli scabri messi emersi dall'abisso
    Che recano, dondolo nel vuoto,

    Verso l'alambiccare
    Del vecchissimo ossesso
    La eco di strazio dello spento flutto
    Durato appena un attimo
    Sparito con le sue sinistre barche.

    Mentre si avvicendavano
    L'uno sull'altro addosso
    I branchi annichiliti
    Dei cavalloni del nitrire ignari,

    Il velluto croato
    Dello sguardo di Dunja,
    Che sa come arretrarla di millenni,
    Come assentarla, pietra
    Dopo l'aggirarsi solito
    Da uno smarrirsi all'altro,
    Zingara in tenda di Asie,

    Il velluto dello sguardo di Dunja
    Fulmineo torna presente pietà.

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    O notte


    Dall'ampia ansia dell'alba
    Svelata alberatura.

    Dolorosi risvegli.

    Foglie, sorelle foglie,
    Vi ascolto nel lamento.

    Autunni,
    Moribonde dolcezze.

    O gioventù,
    Passata è appena l'ora del distacco.

    Cieli alti della gioventù,
    Libero slancio.

    E già sono deserto.

    Preso in questa curva malinconia.

    Ma la notte sperde le lontananze.

    Oceanici silenzi,
    Astrali nidi d'illusione,

    O notte.

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