Ricette con gli ingredienti di stagione

Una ricetta al mese

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    L'ingrediente del mese
    Gennaio: il radicchio






    radicchio



    Si fa presto a dire radicchio: fra il variegato di Castelfranco IGP, il rosso di Chioggia, il rosso di Verona e il precoce e il tardivo di Treviso IGP, tanto per citare i più importanti, le varietà di queste cicorie dall’inconfondibile colore rosso intenso sono molte e ciascuna con caratteristiche proprie ben precise. Introdotto in Italia nel XVI secolo, la coltivazione si è diffusa soprattutto nel Veneto, ancora oggi la regione dove il radicchio è maggiormente presente. In particolare per i radicchi che si fregiano anche del marchio IGP, la disciplinare prevede che provengano dalla zona fra Treviso, Padova e Venezia. Il loro inconfondibile gusto amarognolo si accompagna bene con le carni e i formaggi ma sono molto apprezzati crudi e cotti alla brace, semplicemente conditi con un filo di olio. Nella duplice veste di composta dolce e di accompagnamento, il radicchio rosso di Treviso IGP è protagonista della ricetta di Claudio Mariotti, che la propone proprio in questo periodo ai clienti del Ristorante Rossini dell’ Hotel Quirinale di Roma.

    Tagliata di filetto di vitello gratinato al taleggio,
    su letto di radicchio trevigiano appassito,
    con sformatino di riso, fragole,
    menta e composta di radicchio



    radicchiorossoditreviso

    Ingredienti per 4 persone:

    600 gr. di filetto di vitello
    2 radicchi trevigiani
    150 gr. taleggio
    1 bicchiere di vino rosso
    1 cipolla rossa
    200 gr. riso carnaroli
    8 fragole
    10 foglie di menta
    100 gr. zucchero semolato
    Olio, burro q.b.
    Sale, pepe q.b.


    Per la composta di radicchio:
    Mettere 100 gr. di zucchero in una padella a fuoco basso, far sciogliere, dopo di che aggiungere un mezzo radicchio tagliato finemente, girare e incorporare un mestolo (120 gr.) di acqua salata, freddare la composta.

    Per il letto di radicchio:
    Tagliare un radicchio grossolanamente; mettere una padella sul fuoco con un filo d’olio e la cipolla rossa affettata finemente, fatela stufare per alcuni minuti, aggiungete il radicchio tagliato precedentemente, il bicchiere di vino rosso sale e pepe. Far cuocere per 10 minuti a fuoco basso.

    Per lo sformatino di riso fragole e menta:
    Tostare in una pentola il riso con olio e cipolla, bagnare il riso con del brodo vegetale, a metà cottura aggiungere le fragole tagliate. Quando il riso sarà cotto unire la menta tagliata e un po’ di burro per mantecare.

    Per il filetto di vitello:
    Tagliare il filetto di vitello, per una porzione circa 150 gr., grigliarlo su tutti i lati, una volta che è cotto toglierlo dalla griglia asciugarlo e tagliarlo diagonalmente.
    Mettere il filetto su una placca da forno, aggiungere un pizzico di sale pepe e il taleggio tagliato a cubetti. Mettere la placca in forno preriscaldato a 180° per 5 min.

    Impiattare servendo il filetto sul letto di radicchio, con accanto lo sformatino di riso, guarnire con la composta di radicchio e decorare come da foto o a vostro piacimento.


    Coup de coeur.Un’azienda di origini antiche, una famiglia - quella dei Bisiol - nota soprattutto nel mondo del vino e una linea di specialità alimentari che derivano da ricette uniche tradizionali delle Venezie: con questo pedigree nasce JADA. Pochi, selezionati ingredienti tipici del veneto, ad un prezzo assolutamente ottimo per una qualità molto alta. Nello shop online conserve dolci, mieli e gelatine, ma soprattutto le specialità come il Radicchio Rosso in olio EVO, la salsa di radicchio e il Sugo di Radicchio Spadone e Aristos.

    Nonsolobuono.Il radicchio può essere senza tema di smentita definito “pianta della salute”: ha proprietà antiossidanti, è depurativo, diuretico, lassativo e tonico, oltre ad essere un ottimo apportatore di fibre e un alleato della dieta per il modesto apporto calorico. Il ferro presente in gran quantità aiuta inoltre ad avere capelli bellissimi mentre per la pelle irritata, un toccasana è l’infuso di radici e foglie essiccate di radicchio, che dà subito sollievo. Serena Guidobaldi

    radicchiorosso





    Gennaio: la bottarga


    È vero che la bottarga si trova tutto l’anno, ma mai come durante le Feste questa specialità salta fuori dai cesti regalo e - sembrerà strano - sono in molti a non sapere poi come utilizzarla oltre che per condire i soliti, seppur ottimi, spaghetti. Anche voi siete stati omaggiati di una confezione di bottarga? Che sia di uova di tonno (dal sapore e colore più deciso) o di muggine (più delicato), per utilizzare in modo facile e di effetto questo prodotto di origine antica abbiamo chiesto una ricetta a uno chef fresco di stella: Andrea Mattei del ristorante La Magnolia dell’Hotel Byron a Forte dei Marmi. Agrumi, sgombro freschissimo e pochi accorgimenti, ed ecco un piatto per iniziare in leggerezza il 2012



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    Tartara di sgombro agli agrumi
    e bottarga di muggine


    Ingredienti per 4 persone

    2 Sgombri da 500GR
    1 baffo di Bottarga di Muggine
    2 Arance
    2 Limoni
    2 Lime
    1 mazzo di prezzemolo
    3 dl di Olio extravergine di oliva
    Sale Maldon, Pepe bianco
    50 gr zucchero
    500 gr acqua
    1 cipolla fresca
    Germogli di ravanello



    Procedimento
    Sfilettare, spinare e spellare gli sgombri, tritarli al coltello per ottenere una tartare.
    Tagliare i limoni a metà e sbianchirli in acqua, quindi cuocerli lentamente con i 500 gr di acqua e lo zucchero per 3 ore circa e poi frullarli ottenendo una marmellata.
    Spremere le arance, far ridurre del 50% il succo ed emulsionarlo con l’olio evo.
    Sfogliare il prezzemolo e cuocerlo per circa 2 minuti in acqua, quindi scolarlo e frullarlo con l’olio ottenendo una crema liscia.
    Condire la tartara di sgombro con la cipolla tritata fine, la scorza di lime grattugiata, il sale, il pepe bianco e l’olio evo.
    Con l’aiuto di un coppapasta, fare uno stampino con la tartara di sgombro al centro del piatto, guarnire con punte di marmellata di limoni, l’emulsione di arancia, la salsa al prezzemolo, i germogli di ravanello,
    Finire coprendo con fettine di bottarga tagliata finissima e un filo di olio a crudo.

    Coup de coeur. Con un piatto simile abbiamo fatto un abbinamento eccezionale, un Gavi Pisé de La Raia, bianco che ha appena conquistato - meritatamente - riconoscimenti come i quattro grappoli della Guida Vini 2012, le 4 bottiglie della Guida de l’Espresso e la chiocciola e la bottiglia della Guida Slow Wine. La Raia, azienda agricola e vitivinicola biodinamica che si trova nel cuore delle colline del Gavi, è certificata Demeter dal 2007 (marchio che garantisce una coltivazione priva di prodotti chimici). Ottimi anche per il rapporto qualità-prezzo, chi preferisce i rossi non può non provare anche i loro Barbera.

    Nonsolobuono. Di origine antichissima - sembra che i primi a portarla in Sardegna furono i Fenici - la bottarga mutua il nome dall’arabo “butarikh” (uova di pesce salate ed essiccate). Particolarmente ricca di grassi buoni, proteine e vitamine B12, D ed E, ha un ottimo valore nutritivo e l’uso, che di solito è limitato, fa sì che il sodio e il colesterolo presenti non siano una minaccia per la salute. Date le proprietà e il costo non impossibile, di recente l’industria cosmetica ha iniziato ad interessarsi alla bottarga come alternativa ai massaggi di certo più costosi a base di caviale proposti già da diversi anni nelle SPA più esclusive. Fonte



    Edited by Milea - 26/5/2012, 08:48
     
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    L'ingrediente del mese
    Febbraio: Il cavolo cappuccio




    cavolocappuccio

    Il cavolo si dice sia nato dalle lacrime. Quando Dioniso arrivò in Tracia, Licurgo si mise alla testa del suo esercito per catturare il dio e Gaia, dea della Terra, gli lanciò un incantesimo che portò Licurgo alla pazzia. Questi confuse il figlio Drias per un vitigno, afferrò la spada e lo tagliò in due. Quando gli Edonii lo catturarono e lo torturarono, facendone a pezzi il corpo, nei punti in cui caddero le lacrime di Licurgo spuntarono dei cavoli. Ancora oggi i contadini non piantano il cavolo vicino ai vitigni [...]”

    Così nel suo libro “Una dolce voluttà”, Kyung-Ran Jo riporta il mito del cavolo, come è raccontato nell’Iliade. Mentre Luciano riporta un’altra storia, che vuole il cavolo nato dalle gocce di sudore di Zeus e, per questo, considerato sacro.

    Ma, forse, la sua sacralità era semplicemente data dalla comprovata efficacia contro molte malattie, già nota ai Greci e poi ai Romani, benché le sue preziosissime proprietà nei secoli non lo abbiano salvato dal diventare un simbolo negativo, protagonista di molti modi di dire e credenze popolari come quella che sognare un cavolo sia foriero di sventure.

    Per fortuna Andrea Alfieri, executive chef del Majestic Mountain Charme Hotel di Madonna di Campiglio, non crede ai detti e ai sogni, e ci regala una ricetta dove al cavolo (quello rosso) fa fare una gran bella figura nel menu degustazione, in una composta con i mandarini cinesi.

    Lombata di capriolo scottata
    con composta di cavolo cappuccio rosso e Kumquat



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    Ingredienti (per 4 persone)

    600 gr di Lombata di capriolo
    Olio extravergine di oliva
    1 rametto di timo
    1 rametto di pino mugo
    sale affumicato
    pepe
    fondo bruno (di selvaggina)
    150 gr di vino rosso
    50 gr di aceto di lamponi
    300 gr di cavolo cappuccio rosso tagliato finissimo
    80 gr di kumquats privati dei semi
    300 gr di zucchero
    2 gocce di essenza di senape








    Procedimento

    Preparare la composta. Mettere in una pentola il cavolo rosso e i kumquats (mandarini cinesi, nei reparti ortofrutta forniti) con una noce di burro, farli appassire e aggiungere lo zucchero e l’essenza di senape. Far cuocere a fiamma bassissima per circa 40’.

    Scottare la lombata. In una padella mettere un filo di olio, il timo, il pino (ma se non lo trovate, fatevene una ragione, la ricetta sarà comunque buona!) e rosolare la lombata.
    Aggiustare di sale e pepe, sfumare con il vino rosso e l’aceto di lamponi. Aggiungere il fondo e tirare la salsa.

    Comporre il piatto.Tagliare a fette la lombata e adagiare ogni fetta su una piccola quenelle di composta, nappare con la salsa e servire caldo.

    Coup de coeur della redazione. Dimenticate i crauti in scatola che avete mangiato finora, questi prodotti nella Val di Gresta hanno tutto un altro sapore e consistenza. Sarà per il territorio, famoso per la coltivazione di cavoli cappucci fin dall‘800, sarà perché le procedure di lavorazione sono rimaste le stesse (pur con strutture più moderne) dagli anni ’40, quando Ronzo Chienis era il centro per la produzione e commercializzazione dei crauti, fatto sta che abbiamo scoperto per caso i crauti Comandella e ce ne siamo subito innamorate.
    E se siete in gita in zona, non mancate di vistare la loro crautera!
    Ditta Comandella Michele & Figli, Via S. Croce 5 - Ronzo Chienis (TN) - Tel. 0464-802924

    Nonsolobuono.Tornando ai greci, sembra che Diogene - vissuto fino a 90 anni - su consiglio di Pitagora si nutrisse quasi esclusivamente di cavoli (da cui il ben noto battibecco con Aristippo). Che sia questa l’esclusiva causa della sua longevità non possiamo garantirlo, ma di certo si può affermare senza timore di smentita che i cavoli siano fra le verdure più benefiche in assoluto. Ricchi di vitamine A- B1- B2- C- K- U, zolfo, ferro, calcio, fosforo, potassio, e magnesio, i cavoli sono antiossidanti, depurativi, ricostituenti e rimineralizzanti.
    Messeguè, che li definisce “il medico dei poveri”, inoltre indica l’uso esterno delle foglie di cavolo in caso di ustioni e punture di insetti, mentre il succo di cappuccio dolcificato con miele è un toccasana per l’apparato respiratorio, contro l’anemia e un ottimo vitalizzante per la pelle. Fonte

     
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    Febbraio: la polenta




    polenta

    Non esiste una vera e propria etimologia per il termine polenta, la cui radice si fa risalire per affinità al latino pollen-pollinis, “fior di farina”, e puls-pultis, “pappa”. Comunque l’abitudine di mescolare la farina con l’acqua per ottenere una vivanda da condire con formaggi, verdure, carne, era già conosciuta nell’area del Mediterraneo dai Greci e dai Romani.
    Ovviamente si trattava di polenta di farro, di castagne, di fave o di orzo... perché per la polenta di farina di mais bisognerà aspettare la scoperta dell’America. Le prime coltivazioni di mais in Italia risalgono alla metà del XVI secolo, dove dal Veneto si diffusero rapidamente nelle regioni limitrofe.

    Detta “pane dei poveri”, per la scarsità di nutrienti non può costituire da sola un valido pasto, ma accompagnata da intingoli più o meno sostanziosi o anche grigliata e condita con un semplice velo di burro e zucchero, è una valida base per piatti di grande soddisfazione.
    Non ci credete? Provate allora la ricetta di Alfredo Russo, chef di grande esperienza e grande eleganza, al comando nientemeno che delle cucine del Ristorante Dolce Stil Novo alla Reggia di Venaria, Venaria Reale (TO).


    Millimetro di polenta e funghi




    polentamillimetrofunghi


    Ingredienti (per 4 persone)


    Per la polenta:
    500ml acqua
    170gr farina da polenta macinata a pietra
    50gr burro
    Sale


    Per i funghi:
    4 funghi “porcini”
    400gr funghi “finferli”
    300gr funghi “orecchie di elefante”
    1 cipolla
    Prezzemolo tritato
    Sale


    Per la fonduta:
    300ml di panna fresca
    50 ml latte
    150gr di toma di Lanzo





    Procedimento

    In una pentola faccio bollire l’acqua con il sale e il burro, con l’aiuto di una frusta vi verso la farina da polenta e cuocio per 40’, quindi raffreddo in uno stampo stretto e alto. In un “bagnomaria” metto la panna, il latte e la toma di Lanzo, lascio riposare fino a che la toma non sarà completamente sciolta. Filtro la fonduta per eliminare gli eventuali grumi e carico un sifone ad azoto. In due pentole separate soffriggo la cipolla, aggiungo i funghi “finferli” e “orecchie di elefante” che ho in precedenza lavato in abbondante acqua, salo e lascio stufare per un paio di ore. Una volta cotte, prelevo le “orecchie di elefante” che saranno frullate, fino a ottenere una crema.

    Con un coltello vado a eliminare la terra dal gambo dei funghi porcini e in seguito li lavo, cercando di non farli impregnare troppo con l’acqua, quindi li cuocio in padella con poco olio e sale. In un piatto piano, dispongo la crema di “orecchie di elefante”, i finferli stufati, i porcini arrostiti, poco parmigiano grattugiato e la spuma di toma di Lanzo. Termino con un “foglio” di polenta tagliata finemente all’affettatrice, scaldata al vapore e distesa sopra ai funghi. Chiudo con un filo di olio extra vergine d’oliva.

    Coup de coeur della redazione. Si chiama “otto file” ed è una varietà di mais la cui pianta produce una sola pannocchia di colore arancio-rossiccio, caratterizzata da otto file di chicchi, che è coltivata soprattutto nella zona di Antignano (AT) con metodi naturali e senza trattamenti. Ha un sapore molto più dolce e delicato rispetto alla polenta comune ed era talmente apprezzata da Re Vittorio Emanuele II, che si dice sia stato il primo a farla coltivare in Piemonte, che è conosciuta ancora oggi anche come “melia du Re”.
    Se volete provarla, potete comprare la farina o la pasta Antignano Otto File online o nei punti vendita di Eataly. E se volete qualche ricetta, la Antignano Otto File ha predisposto una app per iPhone con tanto di ricette.

    Nonsolobuono.Se non accompagnata da salse e pietanze troppo grasse, la polenta è di suo ipocalorica e quindi una valida alleata per la dieta. Ma, soprattutto, la polenta di farina di mais è priva di glutine, quindi tollerabile per i celiaci e per chi vuole seguire una dieta il più possibile gluten-free. Se però volete concedervi una giornata di strappo alla dieta, vale la pena di approfittare delle ultime sagre dedicate alla polenta, come la
    Festa della Polenta di Tossignano
    (BO) il 21 febbraio: un modo diverso per chiudere golosamente il carnevale partecipando ad un evento che è giunto alla 391 edizione! Fonte

     
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    Marzo: le acciughe




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    Che le chiamiate acciughe, il vero nome, o alici, sinonimo la cui etimologia è contesa fra il latino allece e il celtico allec (entrambi indicanti una salsa di pesce), questi pesci azzurri dal corpo affusolato, sia freschi che conservati, sono fra gli ingredienti più diffusi nella cucina mediterranea.

    Da marzo - ovvero da quando inizia il periodo riproduttivo - le acciughe si avvicinano di più alla costa per deporre le uova ed è questo il momento in cui la pesca si intensifica. Marzo è anche il mese in cui, con permessi speciali e secondo i decreti ministeriali a tutela del pesce azzurro, si pesca il cosiddetto novellame conosciuto anche come bianchetti.

    A seguire le credenze popolari, il pesce azzurro andrebbe mangiato nei mesi con la “r” (come le ostriche in Francia), e dunque non potevamo capitare in un momento migliore per dedicarci alla ricetta che ci propone Paolo Lavezzini, astro nascente dell’alta cucina toscana ed executive chef del Ristorante La Terrazza dell’ Hotel Plaza e de Russie di Viareggio alla Reggia di Venaria, Venaria Reale (TO). Non è un piatto difficile ma l’esecuzione richiede un po’ di tempo a disposizione, però ne vale veramente la pena.


    Agnolotti verdi al basilico con pecorino in salsa di alici

    e pomodorini grappolo canditi



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    Ingredienti (per 4 persone)

    Per la pasta:
    300gr Farina
    05 Rossi d’uovo
    200gr Basilico fresco, pulito e sfogliato
    Acqua
    Olio extra vergine

    Per la farcia:
    250gr Ricotta di pecora
    200gr Pecorino semi-stagionato possibilmente della Garfagnana
    Sale e Pepe

    Per la fonduta:
    300ml di panna fresca
    50 ml latte
    150gr di toma di Lanzo

    Per la salsa:
    200gr Alici fresche pulite a farfalla
    30 Pomodorini grappolo
    100gr Zenzero fresco
    Fiore di sale






    Procedimento

    Per la salsa
    Pelare i pomodorini grappolo sbianchendoli in acqua bollente per 10 secondi e farli freddare nel ghiaccio. Fare un brodo di circa 1lt d’acqua con lo zenzero fresco, pelato e tagliato finemente, a bollore immergere i pomodorini pelati, spegnere il fuoco e far riposare coperti per circa due ore. Togliere i pomodorini dal brodo e sistemarli in una teglia, un filo d’olio e un pizzico di fior di sale, infornare a 100° per circa 30/40 min. fino ad ottenere dei pomodorini leggermente disidratati.

    Per la farcia
    Incorporare nella ricotta di pecora il pecorino grattugiato finemente, aggiustare di sale e pepe lasciando la farcia non troppo saporita ma piuttosto delicata per non intaccare il sapore delle alici.

    Per la pasta
    Sbianchire in acqua bollente, leggermente salata il basilico lavato, raffreddare con ghiaccio, strizzare bene, frullare e passare al setaccio per avere una purea ben liscia.
    Fare la pasta con la classica fontana di farina, aggiungere prima i rossi d’uovo e l’olio, poi aggiungere poco a poco la purea fino ad arrivare ad un colore verde pisello.
    Stendere la pasta finemente con l’aiuto della macchina oppure il mattarello e fare degli agnolotti di circa 20/30 gr.


    Finitura del piatto
    In una padella per saltare la pasta mettere un filo d’olio e rosolare leggermente 5/6 filetti d’alici, bagnare con acqua di cottura per ottenere un guazzetto dove verranno tuffate velocemente facendo attenzione a non romperle le restanti alici. Impiattare sul fondo del piatto.
    Cuocere i ravioli e saltarli delicatamente nel guazzetto ormai ridotto, mantecare la pasta con olio extra vergine e i pomodorini allo zenzero.
    Finire d’impiattare i ravioli disponendoli sopra le alici.

    Coup de coeur della redazione. Stavolta non è un prodotto ma un posto dove assolutamente andare se vi piacciono le acciughe. Si chiama Aciugheta (sì, con una “c” sola, in dialetto) ed è a Venezia: un bacaro e ristorante non lontano da San Marco dove - insieme ad una molto interessante selezione di vini in mescita - i “cicheti” al bancone prevedono delle fantastiche acciughe sott’olio (con o senza peperoncino) servite da sole, con la mozzarella, oppure come farcitura di piccoli panini morbidi e su pizzette sfornate calde in continuazione.

    Nonsolobuono.Come tutto il pesce azzurro, anche le acciughe sono indicate per regimi ipocalorici (certo, se le friggete forse non vanno bene per la dieta!) e ricche di Omega3, acidi grassi che influiscono beneficamente sul sistema cardiovascolare aiutando soprattutto chi soffre di colesterolo. L’alta presenza di calcio, poi, le rende adatte anche per chi soffre di osteoporosi.
    Attenzione, quando le pulite, alla presenza dell’anisakis, un parassita che si distrugge con la cottura o con la surgelazione. Per mangiare correttamente il pesce fresco, pulitelo subito appena acquistato e, se volete mangiarlo crudo (o in marinata) per precauzione, in assenza di un abbattitore di temperatura, tenetelo in congelatore almeno due giorni. Fonte


    Edited by Lottovolante - 17/4/2012, 08:59
     
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    Marzo: il marzolino


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    Inizia a marzo la produzione del pecorino toscano, formaggio che vanta il riconoscimento D.O.P. e un’antica discendenza se si pensa che della sua variante fresca, quella denominata “marzolino”, ne accenna non solo Poliziano nelle epistole riferendosi ad un “caseus martiolus”, ma addirittura il Redi e il Buonarroti ricordano “i soavi e delicati marzolini di Lucardo, presso Firenze”. Alla fine del ‘700 Francesco Molinelli, negli Atti della Real Società Economica di Firenze, scrive una memoria «Sopra i formaggi di Toscana» in cui decanta la varietà dei formaggi toscani e, fra questi, anche lui decanta quel marzolino di Lucardo segnalando che «le fanciulle che hanno bene imparata l'arte di farlo, si acquistavano molta reputazione nel paese, e questa loro abilità facilita il loro accasamento, ed è considerata in conto di dote».
    Non potendo fare il marzolino in casa, non ci resta che recuperarlo freschissimo per preparare la ricetta dello chef Simone Bertaccini del Ristorante Santa Elisabetta presso l’Hotel Brunelleschi di Firenze. Magari non ci accaseremo come le fanciulle di Lucardo, ma sicuramente faremo bella figura a tavola!

    Soufflé di marzolino
    con crema di baccelli e scampo croccante



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    Ingredienti
    (per 4 persone)

    8 scampi grandi
    100 gr di farina+50 gr maizena
    Acqua gassata ghiacciata


    Per il soufflé:
    35 gr burro
    40 gr farina
    100 gr panna fresca
    150 gr latte
    1 tuorli
    150 gr formaggio marzolino
    100 gr albume+25 gr maizena

    Per la crema:
    250 gr baccelli (fave) freschi sbucciati
    1/2 scalogno
    50 gr lardo
    500 gr brodo vegetale
    sale e pepe 50 ml di olio extra vergine




    Procedimento

    Far sciogliere il burro in un pentolino, aggiungere la farina e cuocere per un paio di minuti. Bollire il latte e la panna insieme, quando hanno spiccato il bollore aggiungere il roux (farina e burro) e cuocere per 5 minuti come una besciamella. Quando è tiepida aggiungere i tuorli e il formaggio grattugiato. A parte montare gli albumi e la maizena a neve incorporarli al composto freddo, quindi versarlo negli stampi monoporzione precedentemente imburrati e cosparsi di pan grattato. Cuocere in forno a 190 gradi per 12 minuti
    Tritate lo scalogno insieme al lardo e fatelo rosolare nell'olio. A parte cuocete i baccelli in acqua bollente e salata per un paio di minuti e raffreddateli subito in acqua e ghiaccio. Uniteli al soffritto e rosolate per un paio di minuti quindi aggiungete il brodo poco alla volta fin quando i baccelli non saranno cotti. Passate la crema al passatutto e aggiustate di sale e pepe.
    Con l'aiuto della mano, come fosse una frusta, unite l'acqua gassata alle farine per formare la tempura. Con un movimento veloce fate incorporare l'acqua lasciando le bollicine in superficie. Immergete gli scampi e tuffateli nell'olio bollente (170gradi circa) e friggete per 3 minuti
    Disponete nel piatto la crema di baccelli, adagiate nel centro il soufflé appena sformato e infine gli scampi appena fritti. Condite con un po' di pepe nero macinato fresco e un filo di olio extra vergine d'olive

    Coup de coeur della redazione. Ottenuto artigianalmente solo con latte di pecora sarda munto in azienda, lavorato con metodi naturali e messo in vendita dopo appena cinque giorni dalla produzione, ha il cuore morbidissimo, quasi burroso, e il sapore intenso di latte che lo rendono un formaggio cremoso senza eguali. È il marzolino del caseificio di Corzano e Paterno, a San Casciano Val di Pesa (FI), che produce anche altri tipi di formaggio di pecora molto gustosi e particolari, come il Rocco, affinato con il carbone, e il Buccia di Rospo, un “pecorino sbagliato” dalla buccia commestibile rugosa come quella di un rospo.

    Nonsolobuono.Più sostanzioso del latte di mucca, il latte di pecora ha una percentuale di grassi e di proteine più alta. Non facile da trovare in commercio, questo latte è sempre più impiegato per usi cosmetici, in forma di sapone, bagnodoccia e di creme naturali per il corpo, arricchiti spesso con olio extravergine di oliva per aumentare le proprietà idratanti e nutritive grazie alla combinazione fra proteine del latte e acidi grassi dell’olio. Se poi volete aiutare gli allevamenti, un regalo ormai da anni in voga e sempre gradito a chi lo riceve è l’adozione di una pecora: con una modica somma, insieme al certificato di adozione di una pecora se ne ricevono i prodotti per tutta la durata dell’adozione. Divertente, educativo per i bambini (che sono invitati ad andare a conoscere di persona la “loro” pecora) e un valido contributo alla pastorizia. Oltre che una gioia per la dispensa di casa. Fonte



    Edited by Milea - 25/7/2012, 21:00
     
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    Aprile: le uova




    uovaquaglia

    Di oca, di quaglia, di gallina o di cioccolato. Fritte, crude, sode, o colorate. Nel mese di Pasqua è impossibile non parlare di uova, che di questo periodo sono il simbolo e non solo per l’iconografia cristiana, dove l’uovo rappresenta la Resurrezione.

    Risale ad ancora prima del Cristianesimo, infatti, l’uso dell’uovo ad indicare il ritorno alla vita e la fecondità, tanto che già nell’antica Grecia e nell’antico Egitto era usanza scambiarsi uova decorate per le feste primaverili come augurio di un anno “nuovo” e buon auspicio per i raccolti.

    Ingrediente versatile in cucina, le uova - che si sposano benissimo con i prodotti di questa stagione come asparagi, carciofi e piselli - sono spesso protagoniste di ricette semplici ed eleganti come quella che propone lo chef Marco Ghioldi del ristorante “La Veranda” all’Hotel Splendide Royal di Lugano. Ottima come entrée per un’intima cena a due.



    Patate rosse mantecate con burro d'alpeggio,
    scaglie di tartufo estivo e uovo di quaglia poché



    aprileuova


    Ingredienti (per 2 persone)

    2 patate rosse
    una noce di burro
    una spolverata di parmigiano
    latte q.b.
    noce moscata
    sale, pepe q.b.
    tartufo a fettine sottili
    2 uova di quaglia




    Procedimento

    Cuocere in forno le patate ancora con la buccia sotto il sale grosso per 20 minuti circa, una volte cotte sbucciarle e schiacciarle con una forchetta, aggiungere latte, sale, pepe, noce moscata, parmigiano e amalgamare bene fino a raggiungere un composto omogeneo.
    Nel frattempo preparare l’uovo poché: mettere sul fuoco un pentolino con acqua e aceto, al bollore immergervi l’uovo e aspettare che si rassodi.
    Inserire le patate schiacciate in uno stampo cilindrico; adagiarvi sopra l’uovo e per finire le scaglie di tartufo e un cucchiaio di burro d’alpeggio.

    Con l'aiuto della mano, come fosse una frusta, unite l'acqua gassata alle farine per formare la tempura. Con un movimento veloce fate incorporare l'acqua lasciando le bollicine in superficie. Immergete gli scampi e tuffateli nell'olio bollente (170gradi circa) e friggete per 3 minuti
    Disponete nel piatto la crema di baccelli, adagiate nel centro il soufflé appena sformato e infine gli scampi appena fritti. Condite con un po' di pepe nero macinato fresco e un filo di olio extra vergine d'olive

    Coup de coeur della redazione. Sono prodotti con la stessa ricetta, segreta, dal 1872, gli africanetti sono una varietà di meringa di colore giallo vivo a forma di lingotto, ottenuti dall’amalgama di tuorli d’uovo, zucchero e burro finemente lavorati. Montati a lungo, vengono cotti in forno a temperatura moderata in appositi stampi. A cottura ultimata, i biscotti risultano cavi al loro interno, dalla superficie esterna friabile e interna più morbida.
    Era ed è tuttora uso offrire gli africanetti in occasione di determinate ricorrenze: la festa patronale del 24 giugno, la fiera di settembre, il carnevale storico nonché in occasioni speciali quali matrimoni, battesimi, comunioni e cresime. Gli Africanetti sono inclusi nell'elenco dei prodotti tradizionali della Regione Emilia-Romagna.

    La storia: nel 1872 Francesco Bagnoli apre, a San Giovanni in Persiceto, un biscottificio e ottiene il riconoscimento della Famiglia Reale per la ricetta degli Africanetti, così chiamati perchè vengono spediti in Africa Orientale.
    Al primo titolare subentra negli anni '30 Emilia Rusticelli, detta Mimì, da cui trae il nome anche il Caffé Pasticceria che gestisce dal 1930 per una cinquantina d'anni. La sua attività cessa senza eredi diretti, ma sul territorio persicetano continua la produzione delle specialità da forno rese celebri dall'800.


    uovar



    Nonsolobuono. Ingiustamente bandite dalla tavola per i luoghi comuni sul contenuto di colesterolo e perché nocive per il fegato, le uova negli ultimi anni hanno visto sfatate queste errate convinzioni diventando protagoniste dell’alimentazione di bambini, anziani e sportivi per la ricchezza di proteine superiori, la prevalenza di acidi grassi insaturi sugli acidi grassi saturi, il buon contenuto di vitamine e sali minerali, il basso apporto calorico e la facile digeribilità.

    Ovviamente, molto dipende dal metodo di cottura: sono sempre preferibili cotture leggere a qualsiasi tipo di frittura e di aggiunta di grassi. L’importante è scegliere sempre uova freschissime, e saper leggere l’etichetta che indica la filiera di produzione dell’uovo.

    Normalmente la categoria da scegliere è la A (la B indica la seconda qualità, destinata all’industria). Volendo fare un acquisto consapevole, dal punto di vista etico e salutistico, suggeriamo infine di cercare le uova provenienti almeno da allevamenti all’aperto.

    Per comodità ricordiamo quindi che la tipologia di allevamento di evince dal primo numero del codice stampato sulle uova: lo 0 indica l’agricoltura biologica, l’1 l’allevamento all’aperto, il 2 l’allevamento a terra e il 3 l’allevamento in gabbia. Fonte



    Edited by Milea - 19/4/2012, 23:21
     
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    Aprile: i carciofi



    carciofi

    Il carciofo, dall’arabo “al-kharshuf” (pianta spinosa), fin dai tempi antichi è stato considerato una pianta divina tanto che il nome scientifico, Cynara (dal latino cinis, cenere) scolymus (dal nome greco di una specie di cardo spinoso), riporta alla storia di Cynara, una ninfa bellissima dagli occhi verdi e viola e dai capelli color cenere che Zeus, di lei perdutamente innamorato ma non corrisposto, trasformò in carciofo.
    Dai tempi di Plinio si conoscono gli effetti depurativi, digestivi e tonificanti del carciofo, le cui proprietà nutrizionali sono non solo rispettate ma messe in risalto in questo piatto bilanciato, sapido e leggero che lo chef Gianluca Rambaldi, appassionato di cucina naturale e creativa, propone nel suo locale - un gioiellino che merita la sosta - Il Biologico di Spoleto.




    Carciofi alle mandorle


    carciofi

    Ingredienti (per 4 persone)

    Per la crema di carciofi:
    Le foglie di 3 carciofi,
    100 grammi di ricotta di pecora,
    70 grammi di mandorle tostate e macinate,
    4 foglioline di menta fresca,
    olio extra vergine di oliva, sale.

    Per i fondi di carciofo:
    I fondi di 4 carciofi,
    300 ml. di latte di mandorla,
    pepe verde macinato,
    olio extra vergine di oliva, sale.

    Per 10 cialdine di mandorle e carciofo:

    Le foglie di 1 carciofo e la parte terminale del gambo di 4 carciofi,
    70 grammi di farina semi-integrale tipo 2,
    30 grammi di acqua minerale o depurata,
    30 grammi di mandorle in scaglie,
    1 cucchiaio da cucina di cremor tartaro,
    1 cucchiaio di olio extra vergine di oliva, sale.




    Procedimento

    Pulire i carciofi, buttando solo il primo giro di foglie, tutte le altre toglierle dal fondo degli stessi, tuffandole in un recipiente con acqua frizzante. Togliere ai cuori di carciofo la parte esterna, lasciandogli circa 5 centimetri di gambo e ricoprirli, in un secondo recipiente, di acqua frizzante.
    Recuperare la parte tenera del gambo avanzata dal precedente taglio, pulirla e unirla alle foglie di carciofo nell'acqua.
    Mettere a cuocere i fondi carciofo in un tegame scoperto con il latte di mandorle, a fuoco basso per circa 15 minuti. A cottura ultimata triturarci un po' di pepe verde, sale e olio.
    Portare ad ebollizione un pentolino d' acqua e versarvi le foglie di carciofo scolate e le parti di gambo recuperate. Far bollire per 2 minuti, togliere dal fuoco e scolarle.

    Con un cucchiaio raschiare la parte interna, più morbida, delle foglie sbollentate.
    Lasciarne un quarto per la preparazione delle cialde e mescolare i tre quarti del composto ottenuto con la ricotta, le mandorle tritate, poche foglie di menta tritate, olio e sale.
    Mescolare il rimanente composto di foglie con i gambi sbollentati e tritati; unire la farina, l'acqua, i filetti di mandorle, il sale, l’olio e il cremor tartaro.

    Foderare di carta forno una teglia e versarvi una decina di cucchiaiate di impasto distanti tra loro circa 5 centimetri, a formare dei biscotti (tipo i “brutti ma buoni”). Infornare in forno già caldo a 170 gradi per 20 minuti.
    Disporre sul piatto di portata una prima cialdina, di seguito un cucchiaio abbondante di crema di carciofi e mandorle.
    Praticare un piccolo foro sulla seconda cialdina e metterla sulla crema.
    Infilare un fondo di carciofo dalla parte del gambo nell'incisione, facendolo arrivare a toccare la prima cialda e versare nel centro scavato un po' di latte di mandorle addensato dalla cottura dei carciofi. Ultimare con un filo d'olio a giro.


    Coup de coeur della redazione.È ad aprile che inizia la raccolta del carciofo violetto di Sant’Erasmo, prodotto presidio slow food dalla caratteristica forma allungata, tenero, carnoso e poco spinoso.


    Ma più che il carciofo, in questo periodo da non perdere assolutamente sono le “castraure”, cioè i primi germogli apicali che vengono tagliati per permettere lo sviluppo di altri germogli, e che sono una delizia disponibile solo per pochissimi giorni.
    Se volete assicurarvela, un buon indirizzo è l’azienda agricola dei fratelli Finotello, creatori de “I sapori di Sant’Erasmo”: un servizio di consegna da loro battezzato “miglianautichezero” tramite il quale consegnano con la barca i prodotti appena colti rifornendo direttamente i clienti e i GAS veneti e assicurando l’estrema freschezza della merce.
    I sapori di Sant’Erasmo Via Boaria Vecia 6 Sant'Erasmo - Venezia
    Tel./Fax 0415282997 -E-mail [email protected]

    Nonsolobuono.Vera e propria riserva di ferro, nel carciofo si trovano anche potassio, calcio, fosforo, vitamine A, B1, B2, C e PP, inulina e polifenoli fanno la loro parte, rendendo questo magnifico “fiore” il miglior alleato per la salute e per la bellezza. Se avete la fortuna di utilizzare carciofi bio, non buttate le foglie esterne ma utilizzatele per farne un infuso che potete bere come fosse una tisana (ottimo diuretico e depurativo), come brodo per zuppe o per cucinare risotti a base di carciofo, o come risciacquo per i capelli per rinforzare i bulbi. E per un effetto astringente e depurativo, gli ingredienti di una maschera facile per il viso sono un piccolo carciofo lesso frullato con un po’ di yogurt, qualche goccia di limone e di olio di oliva. Da tenere dieci minuti e risciacquare con acqua tiepida! Fonte


    carciofiincompagnia



     
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    Maggio: le rose




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    Simbolo della rinascita, dell’esplosione della vita e dell’amore per eccellenza, le rose sono il fiore tipico di maggio, mese in cui finalmente i balconi, i parchi e i giardini si riempiono dei loro colori e delle molteplici varietà e non c’è città che non abbia il suo “giardino delle rose” dove andare ad ammirare le oltre 150 specie di rose classificate in botanica.

    Ma oltre che per la loro bellezza, il profumo e i colori, le rose sono da sempre fra i fiori prediletti in cucina: fin dal ‘500 in casa, con i petali di rosa, veniva preparato il rosolio, da offrire agli ospiti importanti e per buon augurio agli sposi.

    Mentre di origine armena è la “vartanush”, la marmellata di rose che in Italia viene prodotta a Venezia, nell’Isola di San Lazzaro degli Armeni dai monaci Mechitaristi.

    Se avete le rose sul balcone o in giardino, e non sono trattate (importante!), potete approfittare quindi dei loro petali per preparare sciroppi, confetture, macedonie o anche un primo velocissimo e facilissimo, ma decisamente sorprendente come questo proposto dallo chef Diego Colladon del Ristorante Rossini all’Hotel Quirinale di Roma.


    Fettuccine con petali di rosa,
    crema di burrata e semi di papavero



    fettuccinepetalirosa

    Ingredienti (per 4 persone)

    Burrata fresca, 200 gr
    Scalogno, 1
    Noce moscata, q.b.
    Petali di rosa di color rosso porpora (non trattati),
    Burro, una noce
    Semi di papavero, 2 cucchiai
    Sale q.b.
    Fettuccine fresche all’uovo




    Procedimento

    Tritare finemente lo scalogno e farlo appassire in una padella con il burro e un goccio d’olio. Aggiungere la burrata, una grattatina di noce moscata e far sciogliere delicatamente: deve risultare una crema liscia e vellutata.
    Spegnere e aggiungere una julienne di petali di rosa, tenerne alcuni interi da parte per guarnire il piatto.
    Scolare le fettuccine al dente, mantecare con la crema di burrata e rose, aggiungere i semi di papavero, decorare con i petali di rosa interi e servire immediatamente.


    Coup de coeur della redazione. Rinfrescante, tonificante, lenitiva e astringente: l’acqua di rose è un toccasana per la pelle ed è facilissimo farsela in casa. Ma se non avete petali (e tempo) a disposizione, in commercio l’acqua di rose è molto facile trovarla. Fra le migliori, con ingredienti naturali che ne rispettano la composizione e con una ricetta che risale addirittura al 1381, c’è l’acqua di rose della Officina Profumo Farmaceutica Santa Maria Novella, Via della Scala 16 - 50123 Firenze

    Sul sito trovate i rivenditori in Italia, ma se siete di passaggio a Firenze il consiglio è di visitare la bellissima Farmacia, una fra le più antiche del mondo che conserva ancora gli arredi originali e una tradizione erboristica e cosmetica di tutto rispetto.

    Nonsolobuono.Chi ha bambini sa bene come il miele rosato sia utilissimo durante la dentizione. Ma in pochi sanno che l’aceto di rose (ottenuto lasciando macerare i petali in ottimo aceto per una quindicina di giorni) oltre che per uso alimentare è un tonico particolarmente benefico per le pelli molto grasse. Mentre l’olio di rose, oltre a stimolare la circolazione e ad avere una buona azione rilassante e antidepressiva (10 gocce nella vasca con acqua calda), mescolato con una buona crema per il viso o per il corpo ha una potente azione antinfiammatoria, antirughe e previene le smagliature.

    Per un peeling veloce e delicato, invece, basta mescolare l’acqua di rose con un po’ di zucchero e miele e massaggiare il viso. Infine, un consiglio per gli uomini: sembra scientificamente provato che l’esposizione prolungata al profumo delle rose influisca positivamente sugli ormoni femminili, per cui fate un salto dal fioraio un po’ più spesso! Fonte

     
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    Giugno: le ciliegie




    ciliegie1

    Ciliegie o ciliege? L’Accademia della Crusca, pur indicando come forma corretta del plurale la prima, accetta anche la seconda versione. E per questo frutto che a giugno raggiunge il suo massimo, il plurale è importantissimo perché non capiterà mai di mangiare solo una ciliegia.

    Dobbiamo ringraziare Lucullo se oggi possiamo farne scorpacciate, in quanto sembra che fu lui, nel 71 a.C, ad avere la splendida intuizione di importarle in Italia da Cerasunte, città del Ponto.
    Così buone da far peccare di gola anche i frati, le ciliegie si festeggiano il 6 giugno, giorno di San Gerardo che ne è il protettore.

    Questo Santo, infatti, viene raffigurato con un ramo di ciliegie in mano a ricordare il miracolo di quando - in pieno inverno - promise ai religiosi del Duomo di Monza un cesto di ciliegie se lo avessero lasciato pregare nella chiesa oltre l’orario di chiusura. Quelli accettarono e la mattina successiva arrivò carico di questi deliziosi frutti.

    Un miracolo invece non è necessario, ma solo un minimo di pazienza, per la riuscita della squisita ricetta che ci propone Stefano Marzetti del Ristorante Mirabelle dell'Hotel Splendide Royal di Roma, dove è protagonista un altro ingrediente tipico di giugno: i saporitissimi funghi spugnole.


    giugnociliege

    Piccione disossato con foie gras,
    ciliegie caramellate e salsa di spugnole



    Ingredienti (per 4 persone)

    2 piccioni disossati da 300-400 gr l’uno
    100 gr di funghi spugnole
    100 gr di foie gras d’oca
    500 gr di ciliegie tipo Ravenna
    50 cl di Porto rosso
    50 gr di zucchero
    Sale e pepe q.b.
    Ciuffi di menta per guarnire

    Per il fondo di piccione:
    Le ossa del piccione
    50 gr di cipolla
    100 gr di carote
    100 gr di sedano
    2 spicchi di aglio
    2 foglie di alloro
    2 chiodi di garofano
    3 bacche di ginepro
    4 pomodori ramati


    Per la marinatura confit:
    Una infusione di 250 cl
    di olio extravergine di oliva
    con rosmarino, timo, alloro,
    pepe nero in grani,
    aglio e sale q.b.




    Procedimento

    Prima fase.Tagliare 4 fettine di foie gras e mettere da parte in frigo insieme ai petti di piccione.
    Insaporire con sale, pepe e mentuccia il restante foie gras e farcire le 4 cosce di piccione.
    Immergere le cosce così farcite nella marinatura per confit (l’olio aromatico) e infornarle per circa 1 ora a 90°. Spegnere il forno e lasciarle insaporire dentro l’olio aromatico di cottura.

    Seconda fase.Procedere con il fondo di piccione facendo tostare in casseruola le ossa con tutti gli ingredienti tagliati a piccoli pezzi, sfumare con del porto rosso e, una volta evaporato, aggiungere un litro di acqua fredda. Far bollire per circa un’ora a fuoco dolce quindi filtrare la salsa e farla restringere, aggiustando di sale.
    Tagliare i funghi spugnole a cubettini e farli cuocere nella salsa ottenuta per circa dieci minuti a fuoco basso. Frullare il tutto ottenendo una salsa molto cremosa e saporita.

    Terza fase.Prendere i petti di piccione dal frigo e scottarli a fuoco vivace in una padella antiaderente (o di rame) dalla parte della pelle, facendola diventare croccante, girare i petti e saltarli velocemente evitando di cuocere troppo l’interno (circa 2 minuti per lato).
    Saltare le ciliegie snocciolate in una padella con lo zucchero facendole caramellare, insaporire con un bicchierino di porto, far restringere lasciando una salsa. Prendere le 4 fettine di foie gras, scottarle velocemente.
    Tagliare i petti di piccione a fettine, disporli nel piatto a ventaglio. Disporvi le cosce cotte confit, sgocciolate dall’olio di marinatura. Distribuire le ciliegie e guarnire con le 4 fettine di foie gras scottate, la salsa di spugnole e qualche ciuffo di menta.


    Coup de coeur della redazione. Costano sempre tanto e non sempre valgono il prezzo che le paghiamo: trovare ciliegie buone, ma anche frutta e verdura di stagione veramente fresca e proveniente da colture biologiche e biodinamiche garantite è difficile, soprattutto se si vive in città.
    Una soluzione è affidarsi ai gruppi di acquisto solidale, oppure ai servizi di consegna a domicilio. Fra questi, abbiamo provato Portanatura, che opera fra Genova e Milano (compreso hinterland milanese) e che oltre a frutta e verdura consegna anche latticini, vini, olio, carne, pasta e cereali.
    Gli ordini possono essere fatti per telefono o direttamente sul sito, dove si trovano anche informazioni sui produttori partner e le ricette per usare al meglio i prodotti acquistati.
    Portanatura - www.portanatura.it - [email protected] - 348 744627

    Nonsolobuono.Ricche di flavonoidi, vitamine, potassio e antociani, le ciliegie combattono attivamente l’invecchiamento in quanto fonte di antiossidanti e disintossicanti. Ma non solo: l’alta percentuale di acqua le rende importanti per l’ipertensione, i polifenoli per la resistenza capillare, le fibre per risolvere la stipsi e aiutare nelle diete dimagranti. Per una veloce maschera antirughe che restituisce tono e lucentezza alla pelle basta frullare la polpa delle ciliegie mature e mescolarla con un cucchiaino di olio extravergine di oliva. Dopo al massimo un quarto d’ora, un risciacquo con acqua fredda e l’effetto lifting è assicurato! Mentre i noccioli, puliti dai residui di polpa, lavati e fatti seccare, potete metterli dentro un sacchettino di tela chiuso con un cordoncino. Avrete così un cuscino terapeutico che, se scaldato pochi minuti in forno o al microonde, aiuta in caso di dolori reumatici e cervicale. Se raffreddato in freezer è perfetto per traumi e lividi. Fonte

    cherriesm



     
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    Giugno: zucchine col fiore




    zucchine

    Di zucchine non esiste solo un tipo: si va dalla napoletana, di forma cilindrica verde scuro, a quelle tonde, di forma sferica e perfette per essere cucinate ripiene, alle romanesche, verdi più chiare, striate e a volte dalla buccia pungente. Senza contare tutte le varietà con buccia chiara, quasi bianca, o con forme eccentriche come la gialla rugosa friulana.

    Ma fra le zucchine comunemente in vendita, le più apprezzate, per polpa, sapore e versatilità in cucina sono le zucchine chiare con fiore, spesso vendute quando il frutto è ancora piccolo e tenero tanto che è squisito crudo, in insalata

    Trovando in vendita le zucchine fresche con il fiore ancora aperto, senza ammaccature e macchie scure, ci si può sbizzarrire provando questa ricetta semplicissima e fresca ideata dallo chef Christian Busca del Grand Hotel San Pietro di Taormina. Un piatto veloce, perfetto come antipasto per una cena in terrazza o, accompagnato da una insalata tenera, come squisito piatto unico per un pranzo leggero ma gustoso quando comincia a fare troppo caldo.


    Raviolo fritto di fiori di zucca e burrata
    con riccioli di calamaro
    e composta di zucchine e menta



    fioridizucchine

    Ingredienti (per 4 persone)

    N. 8 fiori di zucchina con la loro zucchina piccola
    220 gr di burrata fresca
    50 gr Farina di riso
    15 gr Fecola patate
    1 pompelmo rosa
    20 gr scalogno
    10 gr Menta fresca
    40 gr Mascarpone
    2 calamari da ca. 200 gr cad.
    60 gr Olio extra vergine di oliva
    80 gr Pomodorini datterini
    20 gr Basilico fresco
    10 gr Maggiorana fresca



    Procedimento

    Tagliare a pezzi e condire i pomodorini datterini con il basilico spezzettato e l’olio extra vergine, regolare di sale e lasciare marinare per 1 ora.
    Far scolare la burrata dal siero su un colapasta per circa 1 ora, quindi lavorarla con olio extravergine di liva e la scorza del pompelmo rosa grattugiata finemente.
    Sfaldare i fiori di zucca stando attenti a non romperli troppo e comporre dei ravioli con la burrata lavorata.

    A parte, con la farina di riso e la fecola, formare una pastella con l’aggiunta di acqua frizzante fredda raggiungendo una densità cremosa.
    Passare i ravioli nella pastella e friggerli in abbondante olio di semi di arachide a 165° fino a doratura.
    Stufare le piccole zucchine affettate sottili con lo scalogno tritato, aggiustare di sale. Giunte a cottura, frullarle con la menta fresca ed il mascarpone.

    Far cuocere i calamari precedentemente puliti e tagliuzzati in modo irregolare per farli arricciare, in padella con olio extra vergine e maggiorana fresca.
    Comporre il piatto con tutti gli ingredienti usando come condimento l’olio insaporito dei pomodorini.

    Coup de coeur della redazione. Dopo aver lavorato per 20 anni come educatore, Laerte nel 2009 decide di andare a vivere in campagna e dedicarsi alla produzione di ortaggi non trattati. Nasce così l’Azienda Agricola di Laerte Braga, a Volpiano, pochi km da Torino: un casale che Laerte sta rimettendo a posto con le sue mani, nei pochi ritagli di tempo che la cura dei suoi prodotti richiede. In questo periodo, se cercate le zucchine col fiore le trovate sicuramente da lui, e potete stare più che tranquille sui metodi di coltivazione e sulla genuinità dei prodotti.
    Un consiglio: una volta lì convincetelo a farvi provare le sue fantastiche conserve!
    Azienda Agricola Braga Laerte - Via Cascine Papurella 11 - Volpiano (TO)
    telefono: 3398256998


    Nonsolobuono.Composte per il 95% di acqua, le zucchine contengono vitamine A e C e sono non solo perfette per la dieta con le loro 15 calorie ogni 100 gr, ma valide alleate dell’abbronzatura. Dal punto di vista della salute, sono note le loro proprietà in caso di diabete, insufficienza renale, infiammazioni urinarie e stipsi mentre fin dall’antichità sono riconosciute un toccasana come rilassante e per coadiuvare il riposo.
    Per mantenere la pelle idratata, un ottimo impacco indicato anche per collo, decollete e braccia viene fatto con la polpa schiacciata delle zucchine lessate mescolata a qualche goccia di olio extravergine e lasciata in posa per circa un quarto d’ora. Mentre per le irritazioni da contatto, il consiglio della nonna è di passare sulla parte irritata o con prurito delle fette di zucchina cruda. Fonte
     
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    Luglio: i germogli



    germogli



    Facilissimi da coltivare anche per chi non ha il pollice verde, possono stravolgere (in meglio) perfino il sapore di una semplice insalata. Basta avere i semi giusti (possibilmente certificati), della garza, acqua e pazienza (oppure un germogliatore, che costa poco e facilita ogni passaggio) e si possono ottenere da quasi ogni tipo di pianta dei germogli gustosissimi.

    Come quelli al sapore di miele nella ricetta del Battuto di baccalà tiepido con agrumi, miele e honey cress che ci regala Luca Landi, dal 2003 chef del Ristorante Lunasia al Green Park Resort di Tirrenia. Uno chef molto innovativo più volte campione del mondo della competizione internazionale per la gelateria da ristorazione, con una innata capacità di sorprendere... proprio come i germogli!

    Battuto di baccalà tiepido con agrumi,
    miele e honey cress



    17300459072a7c018accb45

    Ingredienti (per 4 persone)

    200 gr Baccalà dissalato
    (preferibilmente la parte alta del filetto) per porzione
    200 gr Miele di fiori d’arancio
    100 gr Miele di abete
    200 gr succo di arancia fresca
    100 gr succo di pompelmo fresco
    25 gr succo di limone fresco
    25 gr succo di lime fresco
    sale qb - pepe di sichuan
    spicchi di arancia e pompelmo giallo e rosa,
    pelati al vivo
    Germogli di Honey Cress/Crescione honey
    (o un' insalatina di cime di finocchietto selvatico e valeriana)






    Procedimento


    Fare la salsa al miele
    Mettere a ridurre i mieli in una pentola per circa 20 min., quando il miele produrrà una schiuma bianca in superficie, unire il succo filtrato di tutti gli agrumi e far continuare a ridurre fino al glassaggio desiderato. Deve avere la densità originale del miele stesso. Aggiustare quindi di sale e riservare a temperatura ambiente.

    Battuto di baccalà

    Assaggiare che il baccalà sia giusto di sale, dalla parte centrale del filetto tagliare dei cubettoni di circa 2 cm di lato, uno per persona, mantenendo la pelle. Spellare il restante baccalà e triturarlo al coltello grossolanamente. Riempire uno stampo circolare per persona con il battuto e con uno dei cubi sistemato centralmente. Spennellare con un poco del miele ridotto, un filetto di foglia d’alloro e pepe di seichuan sbriciolato. Al momento di servirlo, passare velocemente su una piastra calda, e solo dal lato della pelle del cubetto centrale, lo stampo con il battuto. La parte superiore dovrà rimanere leggermente cruda, ovvero traslucida.

    Presentazione
    Schizzare sul piatto la riduzione di miele ed agrumi, collocare al centro il battuto appena arrostito e rifinire con gli spicchi pelati a vivo degli agrumi, i germogli di crescione honey (Honey Cress) e un filo di olio extravergine.

    Coup de coeur della redazione. Foglie che sanno di ostrica, fiori più dolci dello zucchero e germogli che affascinano già dal nome: sono i germogli e fiori eduli Koppert Kress, dal gusto sorprendente che vengono dall’Olanda. Una collezione di profumi e sapori per arricchire facilmente la propria cucina e andare oltre i soliti Mungo, AlfaAlfa, Crescione e Soia; i prodotti sono coltivati secondo i principi della lotta biologica e rimangono freschi e utilizzabili per più di dieci giorni. Indicati a chi non se la sente neanche di provare a farli in casa. Bello anche il sito, completo di ricette, abbinamenti e note di degustazione. Qui trovate anche i germogli Honny Cress, per completare la nostra ricetta.

    Nonsolobuono.I germogli sono facili da digerire, privi di scarti e naturali 100%. Soprattutto, sono una miniera di principi nutritivi, di vitamine e sali minerali, quindi particolarmente indicati per chi osserva una dieta vegetariana. Elencare il buono dei germogli in poche righe è però un’impresa ardua: il nostro consiglio è provarli e approfondire la vasta letteratura in merito. Vi troverete a scoprire un ingrediente economico ma ricchissimo di virtù. Unica accortezza: utilizzate sempre semi e germogli bio, dalla provenienza tracciabile e di aziende certificate. Fonte

     
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    Luglio: le albicocche




    albicocca

    Ha origini asiatiche antichissime l’albicocca, uno dei frutti più allegri e solari dell’estate: infatti, prima che approdasse nel Mediterraneo era già conosciuta e apprezzata in Cina nel 3000 a.C. Fu introdotta in Italia dai Romani intorno al 70 a.C. a seguito della campagna armena, anche se successivamente diffusa in tutta Europa dagli Arabi ai quali si fa risalire l’etimologia del nome dal termine Al-Barqûq che, però, a sua volta è mutuato dal latino praecòqua (precoce).

    Per il fatto che in Armenia questo frutto trovò il proprio habitat ideale, i Romani la chiamarono anche armeniacum, ovvero “mela armena”, rimasto nel nome scientifico latino della pianta che si chiama “prunus armenica”. E che l’Armenia sia ancora oggi il paese delle albicocche lo si vede dal fatto che non solo l’albicocca ne è il simbolo, ma uno dei più importanti festival di cinema che si svolge a Yerevan, la capitale, si chiama proprio Golden Apricot, albicocca d’oro.

    Ma se alle albicocche d’oro assegnate ai film preferite quelle morbide, succose, dolci e saporite come solo a luglio si possono trovare, provate questa ricetta un po’ strana ma facilissima e velocissima (solo 20 minuti per la preparazione) che ha inventato per D lo chef Massimo Livan dell’Antinoo’s Lounge & Restaurant presso l’Hotel Centurion Palace di Venezia. Un figurone con gli amici, con un piatto tutto fantasia a sforzo zero.


    Trancio di branzino aromatizzato alla lemonsoda
    con albicocche, pepe rosa e pesto di aneto fresco



    tranciodibranzino


    Ingredienti (per 2 persone)

    240 gr filetto di branzino
    20 cl Lemonsoda
    240 gr albicocche
    8 gr aneto fresco
    3 gr pepe rosa
    Olio EVO quanto basta.
    Sale




    Procedimento

    Per prima cosa, preparate il pesto, frullando l’aneto con 6 cl di olio EVO per 2 minuti (potete usare un frullatore o un minipimer elettrico). Riponete il preparato in frigo, coperto con pellicola.
    Tagliate a metà il filetto di branzino, salatelo e scottatelo su una padella antiaderente per 2 minuti.
    Disponetelo su una pirofila oppure su una teglia di ceramica, aggiungendo 10 cl di Lemonsoda e passatelo in forno preriscaldato per circa 8 minuti, a 180°.
    Nel frattempo, lavate le albicocche, tagliatele a metà quindi in piccoli spicchi. A parte, scaldate in un padellino pochissimo olio, e versateci gli spicchi di albicocca, il pepe rosa e la Lemonsoda rimanente. Fate cucinare per circa 1 minuto. Quando il branzino è pronto, impiattate, disponendo le albicocche al centro del piatto, ed il branzino al di sopra. Guarnite con il pesto fresco a vostro piacimento.

    Nota dello chef
    . “Questa ricetta vede come protagonista l’albicocca, un frutto dolce e croccante. Il pepe rosa ed il pesto di aneto mettono in risalto questo meraviglioso frutto estivo creando con il branzino un'unione di leggerezza e freschezza. Consiglio di accompagnarla con un vino bianco come l’Ansonica”.Coup de coeur della redazione. Ottenuto artigianalmente solo con latte di pecora sarda munto in azienda, lavorato con metodi naturali e messo in vendita dopo appena cinque giorni dalla produzione, ha il cuore morbidissimo, quasi burroso, e il sapore intenso di latte che lo rendono un formaggio cremoso senza eguali. È il marzolino del caseificio di Corzano e Paterno, a San Casciano Val di Pesa (FI), che produce anche altri tipi di formaggio di pecora molto gustosi e particolari, come il Rocco, affinato con il carbone, e il Buccia di Rospo, un “pecorino sbagliato” dalla buccia commestibile rugosa come quella di un rospo.

    Coup de coeur della redazione.Concedersi ogni tanto un buon bicchiere di “qualcosa di forte”: perché no? non vogliamo certo istigarvi all’alcol, ma se si tratta di prodotti di grandissima qualità lasciarsi un po’ andare ad un buon distillato o ad una buona grappa da sorseggiare con gli amici mentre si chiacchiera non è un peccato.
    Lo è ancora meno se si tratta di un distillato di frutta Capovilla, una azienda veneta nata a metà degli anni ’70, che da allora si distingue per l’altissima qualità della frutta impiegata. Producono distillati solo con la frutta di stagione, quando è a perfetta maturazione, e con fermentazioni spontanee. Niente di industriale, nessuno strano additivo artificiale.
    Fra i migliori, oltre al distillato di lamponi, da impazzire per profumo e sapore proprio quello di albicocche.
    E se non bevete, è comunque un prodotto ottimo da offrire o da regalare agli amici, che vi farà fare bella figura. Capovilla Distillati - Rosà (VI) - 0424581222 - www.capovilladistillati.it

    Nonsolobuono.Quante cose da dire sull’albicocca! Intanto, che nella tradizione europea questo frutto è considerato uno stimolante dell’attività sessuale e con tale fine, l’olio di albicocca è presente proprio come afrodisiaco addirittura in “Sogno di una notte di mezza estate” di Shakespeare.
    Ma da sempre, per le sue proprietà, l’albicocca è stata considerata un toccasana per la salute: se gli arabi la usavano per mal d’orecchi ed emorroidi, l’importante presenza di vitamina A e C la rende uno dei migliori rimedi per l’anemia, lo sviluppo delle ossa e la protezione della pelle (in particolare l’olio di albicocca per combattere smagliature e rughe). Se consumate secche, le albicocche conservano tutti i principi nutrizionali e apportano un alto contenuto di fibra. Occhio alla linea, però, perché hanno più calorie di quelle fresche!
    Non l’abbiamo provata, ma ci piace la ricetta che abbiamo letto per la maschera idratante fatta con polpa di albicocche mature e olio di oliva: un bel modo di nutrire e rilassare la pelle, e concedersi un quarto d’ora di riposo. Magari sognando nel frattempo delle albicocche, che a quanto pare nella tradizione inglese sono segno di buona fortuna, salute e gioia. Fonte

     
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    Luglio: il melone




    melone

    Originario secondo alcuni dell’Asia, secondo altri dell’Africa, il melone è certo che approdò nel mondo latino in età cristiana e da subito fu apprezzato in tavola, tanto che lo stesso Apicio nel De Re Coquinaria lo consiglia come antipasto condito con il garum (simile alla colatura di alici), aceto ed erbe aromatiche.
    Da allora la fortuna del melone non è mai cessata, rimanendo nei secoli un frutto molto amato al punto da diventare protagonista di aneddoti, come l’indigestione quasi fatale del re Enrico IV di Francia nel 1607 o la richiesta di Alexandre Dumas alla biblioteca cittadina di una rendita vitalizia di 12 meloni l’anno in cambio di tutti i suoi libri. Cosa che avvenne veramente.

    Che lo chiamiate “melone”, abbracciando la definizione trecentesca dell’agronomo medievale Piero Crescenzio, o “popone”, affidandovi all’Accademia della Crusca, l’importante è che il frutto, quando lo si acquista, non presenti ammaccature sulla buccia né sia troppo molle o troppo acerbo. Ma non perdete tempo a cercare il melone maschio perché dicono sia quello più dolce e saporito: sono solo i fiori della pianta ad avere questa distinzione.

    La distinzione invece si fa tra le varietà, tante, che vanno dal retato, il più comune, al Cantalupo, con spicchi prominenti e che deve il proprio nome alla città di Cantalupo da dove proviene, al rarissimo melone Zatta, passando per gli IGP di Pachino e Mantova.
    Scegliete voi quello che più vi piace per realizzare questo aperitivo estivo, leggero e coloratissimo creato da Fabio Paolucci, eclettico barman del Visconti Palace Hotel di Roma.


    meloneh



    ROOF 7 SPRITZ




    Ingredienti

    6 decimi di prosecco
    2 decimi di Aurum
    1 decimo di frullato di melone
    Completare con soda
    Cubetti o perle di melone
    1 ramoscello di menta
    Bacche di pepe rosa
    sale dell’Himalaya








    Procedimento

    Versare il frullato di melone in un calice con una foglia di menta, riempire il calice di cubetti di ghiaccio, versare il prosecco, l’Aurum e la soda. Mescolare brevemente con un cucchiaino e decorare con pezzettini di melone sul calice, un ramoscello di menta, pioggia di bacche di pepe rosa e sale dell’Himalaya.

    Coup de coeur della redazione. Esattamente un anno fa veniva ufficialmente riconosciuto il marchio IGP (Indicazione Geografica Protetta) per il melone mantovano Viadanese, un prodotto tipico delle province di Mantova e Cremona, dalla storia molto antica. Ma tipiche della zona di Mantova sono anche le mostarde. Ad unire i due elementi ci ha pensato l’azienda Le Tamerici, con la mostarda di melone Viadanese, un prodotto veramente unico nel suo genere e lavorata secondo la ricetta tradizionale locale, perfetta se abbinata con bolliti, formaggi stagionati e salumi. Se poi vi piacciono le mostarde ce ne sono di molti tipi, oltre a quella di melone, ma non dimenticate di assaggiare almeno una delle 15 confetture “da meditazione”: non ve ne pentirete! Le Tamerici - S.Biagio di Bagnolo S. Vito (MN) tel.0376253371 - www.letamericisrl.com

    Nonsolobuono.Diuretico, depurativo e ipocalorico, la grande quantità di vitamina A conferisce al melone proprietà antiossidanti e lo rende nemico delle rughe. La presenza di betacarotene, poi, stimola i pigmenti naturali della pelle, per cui aiuta ad avere un bel colorito della pelle. D’altra parte, non a caso molti produttori di cosmetici ne sfruttano le proprietà per creme per viso e corpo.
    L’abbinamento solitamente proposto con il salato (dal classico prosciutto e melone, a salmone e melone per finire con il sale che caratterizza il cocktail che vi abbiamo proposto) ha anche un motivo di benessere: il sale fa assorbire più rapidamente gli zuccheri presenti nel frutto. Se poi ci si sente depressi, il melone grazie alla vitamina B interviene sul sistema nervoso. Peccato che da sempre, però, melone ed eros non vadano d’accordo perché sembra che sia un po’ troppo “calmante”. Questo nonostante la simbologia, che invece lo associa alla fertilità e alla sessualità femminile tanto che sognare un melone ha sempre un significato positivo, di qualcosa che viene concepita e si realizzerà, oltre che di un appagamento amoroso. Fonte

     
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    Agosto: Le melanzane




    melanzanetrifolate

    Coltivata nel sud-est asiatico fin dall’antichità, la melanzana venne introdotta in Europa nel Medioevo. Il nome in italiano - prima che prendesse piede quello più comune di melanzana - è petonciano, in assonanza con il nome di derivazione sanscrita vatrin-gana, divenuto poi in persiano badin-gian e in arabo abbadingen (da cui il francese aubergine).

    Come spiega il prof. Massimo Montanari, “melanzana” nacque nel Medioevo come volgarizzazione del latino mala insana, mela insana, poiché così era considerata a causa degli effetti sulla salute provocati dalla solanina.

    Sarà l’Artusi qualche secolo, nel suo famoso libro di ricette, a cercare di riportare in auge i vilipesi petonciani che descrive come “ortaggi da non disprezzarsi, perché non sono né ventosi né indigesti”. Cosa esatta, purché la melanzana sia perfettamente matura e venga consumata cotta, magari cucinata come ci suggerisce lo chef Domenico Cuomo del Ristorante Santa Caterina presso l’Hotel Santa Caterina di Amalfi.


    Fagottino di pasta all’uovo con provolone del Monaco
    e caviale di melanzane, salsa al basilico e aceto balsamico



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    Ingredienti (per 4 persone)
    8 scampi grandi
    100 gr di farina+50 gr maizena
    Acqua gassata ghiacciata

    Per la pasta all’uovo:
    200gr di farina
    N°2 uova

    Per il ripieno:
    100gr provolone del Monaco di Agerola
    300gr melanzane cotte al forno intere a 200°

    Per la salsa:
    30gr basilico e 50gr olio EVO frullati
    5gr aceto balsamico





    Procedimento

    Impastare farina e uova e lasciare riposare per 30 minuti
    Tritare il provolone del Monaco, scavare la polpa delle melanzane e unirne la metà con un po’ di basilico. Stendere la pasta e fare dei cerchietti di circa 10 cm di diametro, porre al centro il ripieno e chiudere a fagottino.
    Cuocerli in acqua salata e comporre il piatto con la salsa di basilico, la restante polpa di melanzane condita con olio (caviale di melanzane), con una guarnizione di fiori di zucca e qualche cubetto di pomodorino e gocce di aceto balsamico

    Coup de coeur della redazione. Ottenuto artigianalmente solo con latte di pecora sarda munto in azienda, lavorato con metodi naturali e messo in vendita dopo appena cinque giorni dalla produzione, ha il cuore morbidissimo, quasi burroso, e il sapore intenso di latte che lo rendono un formaggio cremoso senza eguali. È il marzolino del caseificio di Corzano e Paterno, a San Casciano Val di Pesa (FI), che produce anche altri tipi di formaggio di pecora molto gustosi e particolari, come il Rocco, affinato con il carbone, e il Buccia di Rospo, un “pecorino sbagliato” dalla buccia commestibile rugosa come quella di un rospo.

    Nota .Il provolone del Monaco è un provolone IGP della zona di Vico Equense. Se non lo trovate, potete sostituirlo con un provolone saporito ma dolce o del caciocavallo.

    Coup de coeur della redazione. Non è un pomodoro anche se a prima vista inganna: si chiama Melanzana Rossa, è tipica dell’Africa e in Italia viene coltivata esclusivamente nel territorio di Rotonda, in Basilicata, dove è stata importata intorno alla fine del XIX secolo. Dal 2007 presidio Slow Food e insignita del marchio DOP, ha un colore rosso vivo molto bello, la polpa carnosa che non annerisce dopo il taglio e un profumo caratteristico molto simile a quello del fico d’India.
    Se siete appassionate di melanzane vale assolutamente la pena provarla, anche per visitare la zona di produzione che è nello splendido Parco Naturale del Pollino.
    Essendo però un po’ fuori mano, per non rinunciare alla melanzana senza muoversi da casa basta contattare direttamente il Consorzio di Tutela, che sul sito pubblica anche l’elenco dei produttori certificati dove poter ordinare il fresco o le conserve sottolio e farsele spedire.
    Consorzio di Tutela della Melanzana Rossa - www.biancoerossadop.it

    Nonsolobuono.Ipocalorica e depurativa dell’organismo per l’alto contenuto di acqua, la melanzana ha anche proprietà ricostituenti grazie alla presenza di potassio, mentre le sostanze che conferiscono alla melanzana il tipico retrogusto amarognolo contribuiscono a migliorare la bile, depurare il fegato e aiutano a combattere il colesterolo "cattivo".
    Perché le proprietà benefiche siano rispettate, però, bisogna stare attenti a come si cucinano, dato che hanno la caratteristica di assorbire i condimenti e sono spesso protagoniste di ricette molto gustose, ma non certo dietetiche!
    Via libera quindi a quelle al vapore, grigliate o cotte intere al forno, usando poi la polpa frullato con lo yogurt per delle salsine fresche da servire con il pinzimonio, oppure per una maschera per il viso rinfrescante e schiarente! Fonte

     
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    Agosto: le more



    moreda


    Dal gelso ai lamponi, sono molti i piccoli frutti appartenenti al vasto genere Rubus fra i quali, in questo mese, spiccano le more di rovo, regine delle campagne.

    Sfidiamo chiunque a negare di essere rimasto almeno una volta impigliato tra i rami spinosi per raccoglierle, pregustando una solenne scorpacciata di questi frutti (che, similmente alle fragole, sono falsi frutti) ricchi di importanti principi benefici come gli ellagitannini, scoperti di recente, dalle proprietà fortemente antiossidanti, ipotensive e anticoagulanti.

    Ma oltre alla mora, eccellente fonte anche di vitamine, acido folico (importantissimo durante la gravidanza) e sali minerali, le foglie, le radici e la corteccia del rovo da mora sono utilizzati in erboristeria per impacchi e tisane.

    E se finora le more le avete pensate solo per confetture e sciroppi, provatele in un risotto abbinato ad un filetto di cernia, per una cena a due con un piatto unico leggero come questo che viene dalla Spagna, creato a quattro mani per noi da Luciano 'PIO' Pulcinelli e Christian Puigròs Baldowski, rispettivamente sous chef ed executive chef dell' Hotel Almenara di Sotogrande.


    Cernia con risotto alle more e salsa al miele


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    Ingredienti (per 2 persone)
    Cipolla, 1 piccola
    Spicchio di aglio, 1
    Olio extravergine di oliva, quanto basta
    Burro, 1 noce
    More, 500 gr
    Filetto di cernia, 300 gr
    Riso, 180 gr
    Brodo di pesce, 200 ml

    Per la salsa:
    Gamberi freschissimi, 4
    Miele, 20 ml
    Brodo di pesce, quanto basta
    Cipolla, 1 cucchiaino tritata



    Procedimento

    Tritare finemente aglio e cipolla e farli imbiondire nell’olio, aggiungere le more e mescolare delicatamente. Aggiungere il riso e farlo tostare, quindi unire lentamente il brodo di pesce caldo, mescolando man mano fino alla cottura ultimata del riso. Mantecare con una noce di burro e lasciar riposare coperto.
    Preparare a parte la salsa al miele facendo soffriggere la cipolla in poco olio, unire il miele e brodo quanto basta per diluirlo, facendo ridurre fino ad ottenere una consistenza sciropposa.
    Sigillare velocemente in una pentola antiaderente il filetto di cernia.
    Montare il piatto mettendo una base di risotto alle more, il filetto di cernia, due gamberi crudi sgusciati a porzione, coprendo con la salsa al miele calda e poche gocce di aceto balsamico.

    Coup de coeur della redazione. Ne abbiamo già scritto della Cooperativa Insieme di Bratunac, e non possiamo non ricordarla in questa sede, perché oltre a quella di lamponi la cooperativa produce anche una ottima confettura di more. Fondata nel 2003, la Cooperativa è composta di sole donne di etnie diverse, che lavorano insieme con un unico obiettivo: superare gli orrori di una guerra che, in particolare nella zona di Srebrenica dove tutte vivono, è stata tragica.
    Acquistando le confetture, quindi, non solo si ricevono prodotti di alta qualità, ma si contribuisce ad aiutare la Cooperativa a portare avanti il lavoro e il grande messaggio di pace e speranza che vi è insito. Cooperativa Insieme -http://coop-insieme.com/ - In Italia le confetture possono essere richieste a [email protected]

    Nonsolobuono.Pianta consacrata a Saturno dai Romani, il rovo da moro ha da sempre avuto dei forti valori simbolici per la sua impenetrabilità e per la presenza delle spine, che richiamano le spine della corona di Gesù quando fu crocifisso. Nel linguaggio dei fiori purtroppo sembra che significhi invidia, quindi non è il caso di regalare un bel mazzo di rami di rovo fiorito... meglio coglierne i frutti maturi purché sia fatto nel periodo giusto, e non oltre il 29 settembre. Una leggenda, infatti, vuole che le more siano frutti cari a San Michele Arcangelo e narra che il diavolo, per fargli un dispetto, in quel giorno esatto ogni anno ci sputi sopra rendendole tutte molli e sgradevoli. Anche se un’altra storia prolunga un po’ il periodo, arrivando all’11 ottobre, giorno nel quale sembra che Satana sia stato cacciato dal Paradiso e, cadendo sulla terra, atterrò sui rovi e li maledisse. E da quella volta, dopo l’11 ottobre ogni anno tutte le more ammuffiscono e si coprono di ragnatele. Sarà vero? Non resta che aspettare l’autunno per scoprirlo...Fonte

     
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