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Quando morì, nel 1962, gli americani continuarono a portarla nei loro cuori, anche se ormai la Casa Bianca era occupata dall'amatissima Jacqueline, moglie di John Fitzgerald Kennedy.
Jackie, convinta che l'edificio dovesse rappresentare il luogo dove celebrare la storia, la cultura e le conquiste americane, fece ristrutturare gran parte della dimora presidenziale, che poi aprì ad artisti, scrittori, scienziati, poeti, musicisti, attori, atleti e premi Nobel.
Non fu la sola a lasciarsi tentare dalla tipica voglia femminile di rinnovar casa.
All'inizio degli Anni '80, anche Nancy, la moglie di Reagan, fece la sua parte; voleva una casa, non la Casa Bianca, e perciò, facendosi finanziare da enti privati, decorò e rinnovò interni, infine chiese un nuovo servizio di porcellare cinesi, in sostituzione di quello che, negli ultino 15 anni, era stato decimato dai precedenti "inquilini".
Tante spese futili, affrontate in un periodo di grave recessione, disoccupazione e povertà, le valsero l'ironico titolo di "regina Nancy".
Forse per questo, ma anche perchè ormai i lavori di ristrutturazione si erano conclusi, nel 1982 la first lady si dedicò a progetti sociali: il suo cavallo di battaglia fu il programma di prevenzione contro l'uso di droga tra i giovani.
Viaggiò per le scuole e le piazze americane, macinò 250.000 miglia in tutti gli Stati Uniti dietro lo slogan "just say no", "basta dire no", portando la campagna anche oltre i confini nazionali; infine nel 1988 fu la prima donna a parlare nell'Assemblea generale dell'ONU, per perorare l'interdizione internazionale della droga e le leggi contro il traffico di stupefacenti.
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