KATHE BURKHART: provocazioni di una cattiva ragazza [FOTO]

Dipinti, fotografie e racconti di un' artista americana

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    KATHE BURKHART
    PROVOCAZIONI DI UNA CATTIVA RAGAZZA



    Nascono da un'attitudine fuori da ogni schema i dipinti, le fotografie e i racconti dell'artista americana...




    Kathe Burkhart (Martinburg 1958) è stata la prima Bad Girl dell'arte, ma senza volerlo: il femminile che abita i suoi lavori è provocatorio e tutt'altro che mansueto, ma proprio per questo l'omologazione del brand non le si addice. Né le si addice il generico manifesto a "tematiche radical-femministe" che lo scrittore David Forster Wallace (1962-2008) attribuisce all'artista d'appropriazione delle prime pagine del suo Infinite jest (anche se il personaggio è costruito proprio intorno a lei). Un solo appellativo può essere associato alla sua personalità e alla sua opera, dalla pittura alla narrativa: gender non conforming. Da intendere per esteso come "non conforme ad alcuna categorizzazione". Un'anti-definizione che la Burkhart ha contribuito a formulare, perchè trent'anni fa non esisteva ma lei ne aveva già bisogno.


    IN PRINCIPIO FU LIZ

    L'artista inizia il suo percorso al CalArts, nel 1980 dedica a Liz Taylor la prima tela dell'omonima serie e nel 1985 si trasferisce a New York. Era l'epoca in cui la grande pittura riprendeva vigore, tra neoespressionismo e neofigurazione, eppure non c'è niente di più lontano della sua epopea visiva, costruita intorno a una star da rotocalco a partire da fotogrammi e ritagli di rivista. Stile e processo di appropriazione sono debitori verso la Pop art, ma solo per farle il verso. Se Wahrol ha riprodotto le sue icone con l'efficenza e le freddezza di una macchina, l'intento della Burkhart è stato infatti l'esatto opposto; nel passaggio dallo schermo alla tela, la sua icona è diventata il suo alter ego. E non è un caso che l'artista abbia scelto la pittura, cioè il mezzo tradizionalmente a dominazione maschile, nè che la sua musa sia il prototipo della celebrità da copertina. Tutto fa parte del piano perchè secondo Burkhart , bisogna appropriarsi degli stereotipi per potersene liberare. Questo è il senso del work-in-progress dedicato a Liz: una metamorfosi da oggetto riproducibile in serie a soggetto non omologabile. Nei dipinti, questo ruolo si riflette in pose ironiche o isteriche, etero o autodistruttive, sgradevoli o seducenti, ed è sempre stato corredato di turpiloquio (pieno di oscenità scarabocchiate qua e là in rosso vivo): per ricordare a ogni donna, ma anche a chiunque non si riconosca in generi e ruoli precostituiti che bisogna reagire. Mai rassegnarsi, nè sottomettersi. A raccontare come un libro aperto la sua pratica artistica e visione del mondo è la sua casa-studio newyorkese, un loft a Williamsburg che raccoglie ogni tappa degli oltre tre decenni di lavoro, con innumerevoli Liz, vari Torture paintings (strumenti di tortura dedicati, ciascuno, a un ex compagno), fotografie di nudisti in mari cristallini (Nudes) e di sexy shop del distretto a luci rosse di Amsterdam (Hardcore series), città dove trascorre le estati. "Uno dei meccanismi che applico attraverso i vari mezzi espressivi", spiega, "è il ribaltamento dei canoni convenzionali, che si tratti di arti visive o di letteratura. Nel caso di Liz i riferimenti formali da riscrivere sono il ritratto e l'autoritratto; nelle altre serie sono la natura morta, il nudo, il paesaggio".


    TRA FICTION E NON FICTION

    Appropriarsi
    degli stereotipi
    per poi liberarsene
    Anche la scrittura è una parte importante del suo lavoro. Il romanzo e la raccolta di racconti (The Double standard, 2005, e Dudes, 2014) hanno uno stile diretto e disadorno quanto le immagini, e indagano ancor più a fondo i temi a lei cari: la disparità tra i sessi, il corpo come ricettacolo di coercizioni socio-politiche da cui liberarsi, l'anacronismo dell'istituzione familiare, il desiderio al di là della "disgrazia della riproduzione". Senza l'ombra di un vezzo formale o retorico, tutto trabocca di franchezza autobiografica. Anche se l'autrice afferma di occupare "lo spazio che sta a metà tra fiction e non fiction", e di confondere invenzione e autobiografia nella lunga fase di revisione in quanto "editor senza pietà" dei propri testi. Ma la differenza tra realtà e finzione è un gioco di specchi che ci riporta al capolavoro di Wallace: il personaggio che "copiava l'arte degli altri e la vendeva in una prestigiosa galleria di Marlborough Street" si basa su Kathe Burkhart, che così forse, paga il pegno della sua relazione con l'autore, quando lui era agli esordi. "Ma questo è ciò che fanno gli scrittori" commenta Kathe, "e io non faccio eccezione". Infatti, per controbattere, ha costruito intorno a lui un personaggio non proprio lusinghiero di "The double standard" oltre a dedicargli uno dei primi Torture paintings e un dipinto recente, successivo alla sua tragica scomparsa. Perchè tra fiction e non fiction e tra tele e pagine, è inevitabile che si inseguano e si confondano. L'importante è non perdere di vista la realtà e le sfide che impone, a Burkhart assolutamente chiare: "Bisogna avere il coraggio di essere se stessi, rivendicare pari diritti e non accettare nessun compormesso". Più che una provocazione, una verità.


     
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