Autoritratto

Umberto Boccioni

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    Umberto Boccioni ( 1882-1916 )
    Autoritratto, 1907-1908
    olio su tela, 70 x 100 cm
    Milano, Pinacoteca di Brera



    Boccioni è tornato da poco dalla grande Parigi è ancora incantato dalla metropoli sinuosa e moderna: sogna i suoi tram, le luci, le donne imbellettate “con i visi bianchi e le orecchie rosee”…
    Di nuovo in Italia, prova ad abitare a Padova e poi a Venezia: ma il giovane pittore che ama le automobili e gli aerei, le corse dei cavalli e le fabbriche possenti, ha bisogno d’altro. Ha bisogno di modernità. Sceglie inevitabilmente di stabilirsi a Milano, la città più vicina al futuro, che amava più di ogni altra città.

    Nella città lombarda, che aveva visto l’ importante affermazione delle sinistre nelle elezioni del 1900, Boccioni respira un’aria più internazionale, pur vivendo poveramente con la madre e la sorella, guadagnandosi da vivere anche con disegni e bozzetti per reclames e illustrazioni. annota nel suo diario: “Dal primo del mese mi trovo in casa di mammà lontano da quella antipaticissima padrona e mi trovo abbastanza bene. In quella casa ho finito un autoritratto che mi lascia completamente indifferente. Sono stanco e non ho alcuna idea”.
    Nonostante il tono quasi apatico di queste righe, frutto di uno stato d’animo di grande incertezza sulla via da intraprendere, quel periodo di transizione si rivelerà per Boccioni molto fecondo e sfocerà nell’incontro con Marinetti e Carrà e con la nascita l’11 febbraio 1910, del Manifesto dei pittori futuristi.

    Nell’autunno del 1907 Boccioni affitta una stanza in via Castelmorrone, all’angolo di via Goldoni, in quella che allora era la periferia urbana e che in questa tela viene ricostruita dal pittore con estrema precisione. Sulla terrazza il cavalletto per un autoritratto che dischiude sullo sfondo un paesaggio inedito per la pittura italiana: il treno che sbuffa sul viadotto dell’Acquabella, e tutt’intorno sui prati è un fiorire di case in costruzione.


    boccionisfondo



    E’ la città “che sale”, per citare un’altra tela di Boccioni conservata a Brera: una marea montante che di lì a poco inonderà ogni cosa. Boccioni rappresenta la metropoli in fasce attraverso una pittura tesa, dove s’incontrano le mille suggestioni di questi fervidi anni di primo Novecento.

    Da Balla alle lezioni divisioniste, dall’espressionismo alle sperimentazioni geometriche ammirate in Francia. Una miscela esplosiva tenuta appena sotto controllo, in queste ultime opere prima dell’avventura avanguardista. Tutto è pronto a sconvolgersi nel vortice del sogno futurista, di cui Boccioni, e non solo nella pittura, sarà il grande ispiratore.

    boccionicolbacco

    Il colbacco di Boccioni è un elemento non casuale; il pittore era reduce da un viaggio in Russia, compiuto nel 1906, allontanandosi a sorpresa da Parigi, vera capitale dell’arte in quegli anni. Viaggiando per la provincia russa, si fa fotografare davanti a una capanna chirgisi con un colbacco in testa. Da tale particolare si può scorgere la tecnica pittorica di Boccioni, in questo periodo molto influenzata da divisionismo: piccoli tratti di pennellata, ciascuno di un colore differente, vengono a comporre un’immagine coerente e luminosa.
    Boccioni dipinge questo Autoritratto mettendosi in posa sul terrazzo della sua casa; si vede appunto il muro di confine del terrazzo. L’artista arrivò in città il 19 agosto 1907. questa tela risente di un clima da inizio o fine inverno, come dimostra anche l’abito di Boccioni. La posa sul terrazzo seduce il pittore perché gli permette di osservare dall’alto la vita della città che tanto lo affascinava con la sua frenesia. La figura dell’artista con il colbacco e la tavolozza nella mano destra, è particolarmente evocativa dello stato d’animo concentrato e pensoso, ma leggermente nevrotico, del personaggio. La tela è dipinta anche sul verso: un altro autoritratto, non datato ma precedente di almeno due anni. Boccioni si era raffigurato in un salotto con i pennelli in mano e probabilmente, non soddisfatto del risultato, aveva cancellato il volto.

    CURIOSITA’



    Il colbacco che Boccioni ha in testa, nasconde un’appassionata e un po’ torbida storia d’amore: l’artista si era innamorato di una giovane russa, Augusta Petrovna Popoff, moglie di un funzionario governativo della Russia zarista, Sergej Berdnicoff. Boccioni dava lezioni di disegno, per 50 franchi il mese, alla bella signora "elegantissima". Poi era divenuto amico del marito tanto che nell' agosto se ne parti' con loro per Tzaritzin (la futura Stalingrado) mentre lei era già incinta di tre mesi.

    A fine ottobre, stanco di freddo e neve, tornò in Italia, a Padova. Nei Taccuini, al 5 aprile 1907, Boccioni annota: "L' 8 febbraio (il calendario russo ritarda di 13 giorni rispetto al gregoriano), alla mia amica Augusta Petrovna è nato un bambino. Felicità a tutti e due".
    Il figlio si chiamò Pietro, Piotr o Pierre e il vero padre era Boccioni, una paternità che fu nota a pochi amici. Verso il 1912 Augusta, separatasi dal marito con la madre Sofia Popoff e il figlio lasciò la Russia emigrò in Svizzera, poi si stabilì a Soisson, a cento chilometri da Parigi, dove viveva la sorella Nadejda, con marito e due figli. Nel 1917, lasciato il figlio Pietro alla sorella Nadejda, tornò in Russia alla vigilia della Rivoluzione d’Ottobre, spegnendosi poi all’età di soli quarant’anni, nel 1920.

    Pietro crebbe con zii e cugini e, dopo un rovescio di fortuna, a vent' anni si stabilì a Parigi. Con studi classici alle spalle, si rivolse al miglior amico di Boccioni (scomparso nel 1916), Gino Severini, perchè lo aiutasse a diventare pittore. Simile nell' aspetto e nell' irruenza, non ebbe però il talento del padre. Divenne ufficiale di collegamento e, durante la seconda guerra mondiale, se ne sono perse le tracce. Boccioni non ha ritratto mai Augusta. (M.@rt)


    “Credo occorra una lente immensa
    che abbia il coraggio o la forza
    di sintetizzare la sapienza moderna e di creare un'opera nuova”
    (Umberto Boccioni)





    Edited by Milea - 25/7/2014, 20:02
     
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