Tamara Rosalia Gurwik-Gorska, De Lempicka

Biografia dell'artista

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    Tamara Rosalia Gurwik-Gorska,
    De Lempicka


    “Tra centinaia di quadri,
    riconoscerai il mio,
    perché la mia pittura affascina le persone”




    tamarawdelempicka

    Il primo mistero di Tamara Rosalia Gurwik-Gorska, riguarda la sua nascita. Non era nata nel 1902 come dichiarava, perché la sorella minore era nata nel 1899; il certificato di morte stilato nel 1980 la dice di “anni 81”. Probabilmente era nata il 16 maggio del 1898, o poco prima, a Varsavia, da Boris Gorski, un avvocato, e Malvina Decler.
    Nel 1907 finge una malattia alla gola per poter seguire la nonna in un viaggio: visitano Firenze, Venezia e Roma, per poi andare a Mentone, da dove la nonna raggiunge ogni giorno Montecarlo, per poter giocare al casinò. La sua formazione scolastica va collocata tra Losanna, a Villa Claire, e l’esclusivo collegio a Rydzyna, in Polonia.

    Nel 1910 è a San Pietroburgo con la madre, ospite della zia Stefa; l’anno successivo a una festa in maschera, si presenta vestita da contadina polacca con un’oca al guinzaglio. In questa occasione incontra Tadeusz Lempicki, nobile avvocato polacco di ventidue anni. Nel 1912 per alleviarle il dolore per la morte della nonna, zia Stefa la porta a Parigi, dove conosce diversi membri della famiglia reale Poniatowski, che frequenterà assiduamente, una volta trasferitasi a San Pietroburgo, dove conduce vita mondana.

    Nel 1915 manifesta l’intenzione di tornare in Polonia, ma le truppe tedesche invadono il paese. Nel 1916 Tamara convince lo zio ad autorizzarla a sposarsi con Tadeusz; il matrimonio si celebra nella Cappella dei Cavalieri di Malta a Pietrograda e il 16 settembre nasce la figlia Marie Christine, detta Kizette.

    Nel 1917, allo scoppiare dei moti di febbraio, Tamara e il marito rimangono a Pietrogrado, anche dopo la presa del Palazzo d’inverno; Tadeusz, che sembra facesse parte della polizia segreta zarista, viene arrestato dalla Ceka. Tamara chiede aiuto al consolo svedese, attraversa la Finlandia e raggiunge Copenhagen.
    Nel frattempo il marito è rimesso in libertà e in estate la famiglia raggiunge Parigi. Per un certo periodo vivono in albergo, vendendo alcuni gioielli di Tamara.

    Nel 1919 la sorella Adrienne consiglia a Tamara di frequentare l’Académie de la Grande Chaumière: la scelta di coltivare il suo talento è dettata dalla necessità, dato che Tadeusz non ha intenzione di lavorare. Alla fine dell’anno si iscrive all’Académie Ranson e segue le lezioni di André Lhote, l’unico che riconoscerà come suo maestro. Nel 1921 inizia una relazione con una vicina di casa, Ira Perrot.

    tamaradelempicka1

    Il primo novembre del 1922 al Salon d’Automne espone per la prima volta: presenta un ritratto, forse Portrait d’une jeune femme en robe bleue, in cui è raffigurata Ira Perrot. Nel catalogo è indicata con un nome maschile: Lempitzki.

    Monsieur Lempitzki viene notato da un importante critico, che ammira la precisione con cui questo “Signor Lempitzki” sa restituire l’inquietudine degli sguardi. Sul fatto che sia russo, i francesi lo credono ancora nel 1924. tutti in realtà stavano parlando di una donna, non russa ma polacca di nascita. Il fatto è che la Lempicka arriva in Francia come profuga russa, ad appena vent’anni, con una formazione culturale russa e da una famiglia che in casa parlava russo.

    Diverse sono nelle opere dell’artista, le tracce che riconducono a quegli anni pietroburghesi; per esempio il particolare blu dei suoi dipinti, una costante cromatica che si ritrova nei primi quadri degli anni Venti, fino agli anni Quaranta, deriva da quello che a San Pietroburgo era chiamato “blu Benois”, nei primi del Novecento presente in ogni casa della città, adottato per la carta da parati e presente in molte scenografie dell’artista russo. La Lempicka non esiterà nel 1942 a trasformarlo in “blu Lempicka”.

    Nel 1924 avviene l’incontro con Marinetti in un locale, durante il quale decidono di andare a incendiare il Louvre. Nel frattempo la sua vita familiare è in burrasca: Tadeusz non tollera le sue relazioni, l’uso di cocaina, le notti passate tra locali e bordelli, le ore di sonno indotte dalla valeriana, le lunghe sedute di lavoro, ascoltando a tutto volume Wagner.

    «Mi piaceva uscire la sera
    e avere un bell'uomo al mio fianco
    che mi diceva quanto ero bella
    o quanto grande era la mia arte.»



    Nel 1925 compie un viaggio a Roma con la madre Malvina e Kizette e prende alloggio all’Hotel Excelsior in via Veneto. Poi si trasferisce a Firenze dove studia i manieristi, Pontormo e Botticelli. Il 28 novembre inaugura la mostra a Milano, nella Bottega di Poesia del conte Emanuele Castelbarco. Soggiorna spesso in Italia e nel 1926 è ospite di Gabriele D’Annunzio a Gardone.
    Negli anni seguenti, divenuta pittrice di successo, intensifica la sua partecipazione a mostre ed esposizioni parigine.
    Partito alla fine del 1927 per un viaggio di affari in Polonia, Tadeusz inizia una relazione con Irene Speiss. Tamara durante l’anno insegue per mezza Europa il marito, ma alla fine divorziano; si incontreranno spesso per stabilire il futuro di Kizette, che il padre vorrebbe con sé a Varsavia, ma la ragazza rimane in collegio in Francia.

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    Negli anni successivi gli impegni professionali sono numerosi, i riconoscimenti importanti, ma la Lempicka entra in una forte crisi depressiva, dopo che Tadeusz sposa Irene Spiess, che accrebbe con la paura per l’inarrestabile salita di Adolf Hitler al potere -lei era di origini ebree- e comincia a dipingere soggetti di contenuto pietistico e umanitario. Nel 1932 inizia una relazione con la cantante Suzy Solidar.

    Nel 1929 e nel 1931 espone a Pittsburgh, al Carnegie Institute, ospite nella sezione polacca, riscuotendo un successo oltre le aspettative, sia del pubblico che della critica.
    A. Jewell la definisce artista a livello “internazionale”; tutto il mondo si occupa di lei e, tra le artiste, è l’unica ad ottenere in quel periodo tanti riconoscimenti istituzionali.
    Anche dopo il 1929, quando la crisi economica americana determina in Europa serie difficoltà nel mondo dell’arte, è fra i pochi a non subirne gli effetti.

    Nel 1934, il 3 febbraio, sposa il barone Raoul Kuffner. La sua intensa vita sociale e le mostre la portano a viaggiare molto; nel 1939 i coniugi hanno in programma di andare temporaneamente a New York, per poi trasferirsi a L’Avana; Roul ha intenzione di ottenere la cittadinanza degli Stati Uniti.

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    Il 4 agosto del 1939 la sorella Adrienne riceve la Legion d’onore a Parigi; Kizette che vive con lei, è in Polonia dal padre, nella casa di campagna. La raggiunge con il marito Pierre de Montaut per inaugurare alcuni edifici da loro progettati, e le offrono di tornare anticipatamente a Parigi con loro. Kizette accetta: alla frontiera con la Germania notano movimenti di truppe. E’ il 29 agosto: il primo settembre Hitler invade la Polonia.

    Nel 1940 Tamara e il marito si trasferiscono a Los Angeles; Kizette e Louisanne Kuffner, nata dal primo matrimonio del barone, arrivano a New York sulla nave Nea Hellas, sono scappate dalla Francia con documenti falsi. A fine mese arrivano a Beverly Hills: tamara presenta Kizette come sua sorella, dato che dichiara di non avere figli.

    Nel 1941 il barone si dilegua, va a caccia in Montana, e poi, visto l’eccessivo lusso in cui Tamara vive, procede alla separazione dei beni.
    Nonostante i suoi numerosi impegni umanitari, la pittrice continua ad allestire mostre a New York, Los Angeles e San Francisco. Dopo un lungo periodo di silenzio, nel 1957 presenta le sue nuove opere a Roma alla Galleria Sagittarius. Quello stesso anno, il 12 marzo, esce il primo libro a lei dedicato, scritto da Gabriel Mandel.

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    In questi anni Tamara realizza una serie di composizioni astratte, cui fanno seguito dei dipinti a spatola che non incontrano il consenso della critica. La mostra, allestita nel 1962, alla Galleria Jolas di New York è un fallimento e le finanze dalla famiglia non sono floride. Kuffner prende la risoluzione che per risparmiare uno viaggerà in aereo e l’altro in nave, sempre però in prima classe. Durante la traversata di ritorno dall’Europa, Kuffner muore e viene sepolto in mare. Il testamento del barone predispone un lascito in denaro al contabile e tutto il patrimonio diviso a metà tra Tamara -con la clausola che deve sopravvivergli sessanta giorni- e i figli; nulla a Kizette.

    Dall’inventario risulta che gli erano rimaste quattro opere di Tamara, che vengono valutate cinquanta dollari. Lascia circa due milioni di dollari, azioni, terreni ed edifici a Vienna, quattro casse di argenteria e porcellane provenienti dal castello di Dioszegh.
    Nel 1947 Tamara è una donna molto sola e cominciano anche a tremarle le mani; trascorre tre o quattro mesi in Europa, tra Parigi, Venezia, Zurigo e Cannes, e d’inverno al Beverly Hills Hotel.

    Nel 1970 muore la sorella Adrienne. Nel 1972 a Parigi viene allestita alla Galeri edu Luxembourg, la mostra Tamara de Lempicka de 1925 à 1935. l’esposizione sancisce il ritorno sulla scena dell’artista, che non amava definirlo “riscoperta”, perché asseriva che la sua notorietà non aveva mai conosciuto eclissi.

    tamarale

    Le opere della Lempicka sono inserite nelle mostre degli anni Venti e Trenta, considerate come il documento più fedele dello spirito del tempo. Nel 1976 dona allo Stato francese un gruppo di sue opere, alcune delle quali sono destinate al Musée National d’Art Moderne; altre vengono distribuite ai musei di Nantes, Beauvais, Orléans, Le Havre, Saint-Denis.
    Alla fine di aprile del 1977 è di nuovo in ospedale a Houston, per problemi al cuore; sarà ricoverata anche in maggio e in settembre.

    Esce il volume di Franco Maria Ricci, “Tamara de Lempicka”, con un’introduzione di Giancarlo Marmori e un testo di Aélis Mazoyer, governante di D’Annunzio, che racconta i retroscena della visita di Tamara al Vittoriale nel 1927. questo la rende furiosa e considera il libro come un insulto alla propria reputazione.
    Nel novembre 1979 riceve la notizia che il marito sta morendo di cancro e chiede alla figlia di andare a vivere con lei a Cuernavaca, in cambio della casa. Kizette le risponde di non volere Tres Bambus, ma denaro. Quando Harold Foxhall muore, Tamara è dal notaio a disporre il passaggio di proprietà della casa a Victor Contreras, che la acquista per 100.000 dollari.
    Nell’atto viene lasciato l’usufrutto a Tamara, che si impegna a pagare 1500 dollari al mese per le spese e la servitù.

    Contreras la assiste quotidianamente e le assicura la sua presenza di cui Tamara, che ha paura della solitudine, ha bisogno. Cambierà il testamento almeno sette volte. Nel 1980 le persone che le sono vicine la convincono a distribuire il denaro fra diverse persone, e nel testamento stilato a marzo, lascia 50.000 dollari all’infermiera, 100.000 dollari all’orfanotrofio Little Brothers, il resto alla figlia, purchè si occupi di lei fino alla morte.
    Muore il 18 marzo all’una di notte. Il certificato alla voce “Causas” parla di insufficienza cardiaca, ipotensione polmonare cronica, enfisema polmonare cronico, arteriosclerosi generalizzata.

    Dopo una messa nella cattedrale, Contreras e Kizette salgono su un elicottero, raggiungono il fianco del vulcano messicano Popocatepetl, e le ceneri di Tamara vengono sparse, secondo i suoi desideri. Il 20 giugno viene pubblicato aTokyo il volume “Tamara de Lempicka”, con il testo di germain Bazin: è la prima pubblicazione scientifica sulla sua opera, ma Tamara non l’ha mai vista. (M.@rt)



    Clicca sulla tazza sottostante
    per visualizzare tutte le opere trattate in questa sezione



    tamara15







    tamarabook




    Bibliografia

    Gioia Mori
    Tamara de Lempicka, la Regina del Moderno

    Ed. Skira





    Edited by Milea - 2/7/2014, 09:59
     
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    ”Tamara de Lempicka ci piace come un vizio”


    monportraibugattip

    Tamara de Lempicka
    Mon portrait (Tamara in the Green Bugatti),1929
    (Autoritratto - Tamara nella Bugatti verde)
    olio su pannello di legno, 35 x 27 cm
    Collezione privata




    ”Tamara de Lempicka ci piace come un vizio”
    , scrisse un critico nel 1934, consegnandoci una frase che definisce bene la passione che l'artista avrebbe suscitato nei nostri tempi.
    Nel 1929, dipinge il suo autoritratto Mon portrait (Tamara nella Bugatti verde) per la copertina della rivista di moda tedesca Die Dame, un' immagine veritiera della donna indipendente che si afferma. Ha le mani guantate e il casco; è inaccessibile, una bellezza fredda e inquietante.
    Tamara de Lempicka era nota per raccontare varie versioni della stessa storia o di cambiare completamente fatti per soddisfare il suo capriccio personale, confondendo costantemente intervistatori e biografi. Una di queste, ripetuta diverse volte, è la storia di come è nato questo dipinto: l'editor della principale rivista di moda tedesca “Die Dame” aveva visto Tamara guidare una gialla Renault a Monte Carlo. Tamara era vestita di giallo brillante, corrispondente al colore del veicolo, e indossava un cappello nero. Il direttore della rivista fu così preso dallo stile di guida che lasciò un biglietto da visita sul parabrezza della vettura, chiedendo alla donna vestita di giallo un contatto. Più tardi scoprì che era l'artista Tamara de Lempicka, e “Die Dame” le commissionò un autoritratto in macchina per la copertina della rivista.




    Una moderna femme fatale



    Quello che la Lempicka imita è il modello Garbo, una donna glamour che nasconde sotto le lunghe ciglia e sguardi suadenti inedita fermezza e tenacia. L’immagine di Venere moderna della Lempicka, nasconde in realtà una mente da Minerva, da guerriera armata di cultura, in grado di sostenere il confronto duro che serpeggia nella vita artistica di Parigi. Le donne delle sue tele sono belle e seducenti, ma hanno spesso un libro fra le mani, un volume aperto che racconta la dimestichezza dell’artista con quest’arma, appunto, da Minerva.
    In una Parigi percorsa da fremiti delle femministe che reclamano il voto, abitata da intellettuali che gestiscono librerie e case editrici, da avvocatesse che aprono scuole per future deputate, da sportive che sfidano i pregiudizi maschili, da aviatrici e spericolate guidatrici d’automobile, la Lempicka non pensa di imporsi con la sola arma delle lunghe ciglia. E affronta la sfida da “donna virile”, incarnazione di quell’ibrido già tratteggiato da Valentine de Saint-Point nel manifesto della donna futurista del 1912: “Ogni donna deve possedere non soltanto virtù femminili, ma delle qualità virili; altrimenti è femmina”, laddove il termine “femmina” è usato in senso spregiativo.

    monportraibugattid



    La Lempicka ha sempre vissuto in modo “virile”, dominando le situazioni e conquistando rispetto, autonomia e indipendenze economica.
    Non sembra allora un refuso, né una scelta volutamente fuorviante e ambigua, il nome declinato al maschile che compare nei cataloghi dei primi Salons a cui partecipa. Piuttosto, la Lempicka si sente una “donna virile”, forse, caratteristiche che molti critici riscontreranno nei suoi dipinti, che descriveranno usando proprio l’aggettivo “ virile” per indicare uno stile lucido, spigoloso: tutti sottolineano la rinuncia a un sentimentalismo zuccheroso in favore di un vigore che suscita “stupore ammirato”.

    La donna dell’epoca, dunque diventa “moderna” quando adotta atteggiamenti maschili. Nessun quadro come Mon Portrait è stato identificato con un’epoca e con la liberazione femminile: l’artista nel raffigurarsi in caschetto e guanti di daino alla guida di una Bugatti che non ha mai posseduto, rivendica con spavalda sicurezza un’attività prettamente maschile. Il risultato è una delle sue opere più note dell’artista, l'icona di un'epoca, noto anche come “Donna nella Bugatti verde”. (M.@rt)





    Edited by Milea - 2/7/2014, 10:04
     
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    Tamara alla fine
    Victor Manuel Contreras

    “Vivo la vita ai margini della società,
    e le regole della società normale
    non si applicano
    a coloro che vivono ai margini.”


    tamaracontreras




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    Tamara è stata, e per me sarà sempre, una delle donne più straordinarie che abbia mai conosciuto: intelligente, bella, dotata di grande personalità, di un fascino ineguagliabile e, senza dubbio, di grande generosità.
    Tamara e io ci siamo conosciuti in casa del principe Felix Jusupov e di sua moglie Irina Romanova, nel settembre 1958: io adolescente, studiavo a Parigi e vivevo con loro, che diventarono per me la mia famiglia.
    Una sera il principe Felix invitò a cena Tamara per farmela conoscere; quando lei arrivò, rimasi colpito dalla sua eleganza e dalla sua estrema raffinatezza. Felix le si rivolse dicendo: “Tamara, mi permetta di presentarle il figlio che mi è piovuto dal cielo”.
    Io mi avvicinai a lei e, quando tesi la mano, la strinse tra le sue dicendo: “Se avessi qualche anno in meno e tu qualcuno in più, parleremmo un’altra lingua”, e mi regalò uno splendido sorriso senza smettere di guardarmi negli occhi con i suoi, bellissimi, che rimasero tali sino alla fine dei suoi giorni. Quella sera non potrò mai dimenticarla.

    tazzinalempicka2

    Il giorno seguente mi invitò a visitare il suo studio, e da quel momento ci frequentammo per lungo tempo. Lei andava spesso a New York e in California, ma quando si trovava a Parigi veniva a farci visita. Poi dovetti lasciare Parigi per proseguire i miei studi a Monaco di Baviera e poi a Milano; e quando tornai a Parigi, Felix e Irina mi invitarono a vivere con loro; in quegli anni Tamara faceva la ancora la spola tra New York e Parigi, e ci facevamo visita a vicenda. Tamara era un essere affascinante, prodiga di aneddoti su quel che aveva vissuto durante la rivoluzione russa a San Pietroburgo, sui personaggi che componevano i nuclei sociali più importante dell’aristocrazia, sugli artisti e l’alta borghesia, perché illustravano la vera storia di quel mondo all’inizio del XX secolo in cui si trovò a vivere da protagonista con la sua famiglia in Russia e poi in Europa occidentale, specialmente a Parigi.

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    Spesso mi raccontava i momenti difficili che aveva vissuto, e allora la sua conversazione così interessante si velava di una profonda tristezza. La memoria non l’abbandonò mai, ricordava i nomi dei luoghi, i tempi e le particolarità dei personaggi. Nei numerosi eventi sociali che organizzava, prima a Parigi, poi in Messico ( a Cuernavaca, a Morelos), i giovani amavano stare con lei, la circondavano in gruppo per attingere alla sua grande cultura artistica e alla sua conoscenza dei mutamenti che avvenivano nel mondo artistico della sua epoca. Mi diceva: ”Victor, i cambiamenti nell’arte non avvengono per evoluzione, ma avvengono per rivoluzione”. E così Tamara iniziò la sua rivoluzione, con il suo enorme talento e la sua grande opera, imponendosi in un ambiente alquanto difficile: un mondo di uomini ambiziosi e gelosi, diceva.

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    Con decisione ed energia Tamara riusciva ad abbattere qualsiasi ostacolo incontrasse sulla strada verso il successo. Diceva: “Il successo è arrivare a fare ciò che si desidera”. Tamara non sopportava la mediocrità, era molto esigente e critica e profondamente umana. Sapeva ascoltare, e faceva osservazioni molto acute che illustrava con le sue opinioni arricchendo la conversazione in maniera intelligente e rispettosa. Era una donna dai modi molto fini, poche persone hanno questo dono meraviglioso e affascinante, quello di poter condividere in maniera intelligente le idee e tutto ciò che bisogna donare a una persona con il suo talento.
    Per Tamara il mondo era più importante della famiglia, lo diceva spesso a Kizette: “Io sono nata per donare la mia opera al mondo, non a una persona sola; la mia opera mi ha dato fama, fortuna e un’enorme felicità e devi sapere che ognuno è quello che fa e non quello che fanno gli altri. Io sono la mia opera e la mia opera sono io”.

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    Tamara sistemò il cavalletto per dipingere nella sua camera da letto. Perché spesso si svegliava e non riusciva ad addormentarsi, perciò decise di concludere il ciclo della sua vita con le “versioni originali”, come chiamava i dipinti che riprendevano i temi della sua opera precedente. Quando qualcuno diceva: “ queste sono copie dei tuoi quadri…” lei molto infastidita, spiegava: “Non sono copie… Io sono l’autrice, la pittrice che riprende i suoi temi… Sono versioni originali, se uno è l’autore stesso dell’opera”.
    Quando eravamo a Cuernavaca, facevamo visita insieme, alla principessa Maria Beatrice di Savoia e alla regina Maria Josè, sua madre; erano incontri tra grandi dame, segnate da tragici eventi storici e da vittorie che si erano trovate a vivere in maniera diretta.

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    Nell’ambiente sociale di Tamara era un po’ come ripercorrere un pezzo di quel passato glorioso e tragico che non toccò di vivere solo a lei, poiché il mondo intero era stato coinvolto in due grandi guerre mondiali e rivoluzioni, e senza dubbio il mondo cambia: Tamara, però, restava sempre fedele al mondo delle celebrità, della gente di talento e di successo. Mi diceva: “Devi sapere Victor, che il mondo non ci vuole né brutti, né poveri, né vecchi, né stupidi”.
    Ricorderò sempre con piacere quello che Tamara mi raccontava del barone Kuffner, il suo secondo marito, di quando viaggiavano per il Mediterraneo sulla sua barca –della quale finì per diventare proprietario il suo cuoco Dick White- con i personaggi che ho conosciuto solo grazie a lei e attraverso i suoi aneddoti. Tamara aveva amato profondamente il barone, diceva: “Mi ha regalato ventotto anni di piena felicità”. Io l’ho incontrato solo due volte, nel 1960.

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    Tamara era molto amica di Octavio Paz e di sua moglie Maria Josè, che quando erano in Messico, trascorrevano spesso con noi il fine settimana. Tamara frequentava le grandi pittirci Margarita Blanco e Tina Contreras, lo scrittore Gabriel García Márquez. A Cuernavaca conobbe Evelyn Lambert, fondatrice insieme a Peggy Guggenheim del Museo Guggenheim di Venezia, e che come Tamara apparteneva ai più alti circoli sociali statunitensi, europei e messicani. Le cene, i cocktail, i matrimoni, le sfilate di moda organizzate da “Vogue” , erano un pretesto naturlae per la mia amata Tamara si sfoggiare i suoi splendidi abiti lunghi, gli enormi cappelli e i gioielli che solo lei poteva esibire. Indosso ad altri non avrebbero fatto la stessa figura perché troppo stravaganti, e per poterli ostentare bisognava possedere la grande personalità e l’eleganza naturale di Tamara.

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    In occasione di un compleanno di Margarita López Portillo, sorella del presidente messicano, Tamara la invitò a pranzo e le chiese: “E’ vero che sei la sorella del presidente?”. E margherita le rispose:”allora voglio che accetti questo mio quadro, come ringraziamento al Messico per avermi dato il miglior amico che ho, alla fine della mia vita”. “Grazie Tamara, anche io posso dire lo stesso di Victor”. “Sai Margarita, è un’esperienza terribile, vedersi morire”.
    In quel momento rimanemmo tutti prigionieri di un profondo silenzio, che io decisi di rompere dicendo: “Finchè siamo insieme, c’è una buona ragione per essere felici”, e con questo, come spesso accadeva, il suo stato d’animo sconfortato cambiava. Il motivo della sua tristezza era che gli amici e le persone a cui voleva bene non le erano più accanto, quelli che amava di più erano morti, e lei diceva: “Tutto passa, tutto sbiadisce… tutto scompare…”

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    Si potrebbe dire che era una donna senza età, che tutti desideravano conoscere, frequentare, con cui tutti volevano stare; quando si ammalò, ricordo con tristezza che tutte le persone ricche di glamour si allontanarono dicendo che le intristiva moltissimo vederla soffrire… A Tamara sarebbe piaciuto che sua figlia vivesse accanto a lei, e invece no! Kizette e Tamara si volevano bene, ma al tempo stesso non si sopportavano. Generalmente i giovani ascoltavano con grande attenzione, attratti in particolare da quello che lei raccontava sul dilagare del comunismo nella sua bella Polonia e sui problemi che aveva dovuto vivere a causa del comunismo sovietico. Tamara odiava il comunismo. Mi diceva: “Victor, non confonderti con i mediocri, sii libero, libero, affinchè lo sia anche la tua opera”. Mi trasmetteva continuamente la sua filosofia, e confesso che grazie ai suoi consigli, in tutti questi anni, mi è sempre stata presente, al punto che la sua assenza è diventata la sua presenza.

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    Un giorno, come accadeva abitualmente, eravamo soli in casa perché sua figlia viveva a Houston, una nipote in Argentina e l’altra negli Stati Uniti, e venivano raramente a trovarla. Dopo pranzo andammo in terrazza, la vista del vulcano Popocatepetl era davvero spettacolare quel pomeriggio e, mentre lo contemplavamo, d’improvviso mi disse: “Victor, se ti dovessi chiedere un favore, me lo faresti?”. Io risposi: “Sì… dimmi cosa devo fare…”. “Vedendo questo vulcano il mio pensiero va al Giappone, con il Fujiyama che ritengo altrettanto splendido, e così voglio chiederti, se muoio, di essere cremata e che le mie ceneri siano disperse sul Popocatepetl. Lo faresti Victor?” “Certo Tamara, certo che lo farei… Ma la morte non rispetta le età, e se io morissi prima di te, tu lo faresti per me?” “Certo, assolutamente sì!”

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    L’ultimo giorno della sua vita cenammo insieme, lei, sua figlia Lizette e io, e con noi c’era l’infermiera di Tamara. All’apparenza stava bene, ma si sentiva stanca e a un tratto mi chiese di accompagnarla nella sua stanza, appoggiò le mani sulle mie spalle standomi di fronte e io camminai all’indietro verso la sua camera da letto. Arrivati davanti alla porta, mi prese per mano e mi disse: “Victor, per favore, se muoio voglio che tu ti prenda cura di mia figlia… Per favore, prenditi cura di lei”. “Sì, Tamara, certo…certo”.
    Poi entrammo, la adagia sul letto e mi preparai a metterle la maschera dell’ossigeno, perché aveva difficoltà a respirare; in quel momento Kizette, che parlava con l’infermiera, entrò all’ improvviso e con una voce che mi inquietò, molto forte, mi disse: “Lasciala andare!”. Non le badai, finii di sistemare l’ossigeno; Tamara, che mi teneva la mano, si voltò a guardare Kizette e disse: “E’ molto buono, molto generoso, molto dolce…” Le diedi un bacio sulla fronte e uscii dalla stanza.
    Kizette uscì con me, dispiaciuta per aver alzato la voce, e io le dissi: “Non preoccuparti, Kizette, ti capisco, è un’esperienza terribile veder morire la propria madre”. Poi la salutai, l’autista mi aspettava per portarmi a casa.

    tazzinalempicka2

    Due ore più tardi mi chiamò uno dei domestici di Tamara per dirmi: “Signore, la baronessa è morta”. Tornai immediatamente a casa sua per accompagnare la salma alle pompe funebri, affinchè io e i miei genitori potessimo vegliarla. Nella sede delle pompe funebri c’era un albero di magnolia con un solo fiore, un fiore che Tamara amava, e mentre stavo lì a pregare, la donna che si occupava delle pulizie e disse: “Tenga signore”, e mi porse il fiore. Io lo posai sul feretro e pensai: “Ecco qui una gran donna, una grande artista, e nessuno ci accompagna”. Il giorno dopo ci recavamo ogni domenica. Con l’urna contenente le sue ceneri posta sull’altare, il vescovo celebrò la messa, accompagnato dall’organo della cattedrale, e io cantai l’Ave Maria per dirle addio.

    tazzinalempicka2

    Alla fine della messa andammo al Golf Club di Cuernavaca dove di aspettava l’elicottero che ci avrebbe portato sul Popocatepetl per disperdere le ceneri. Kizette non voleva salire e diceva di spargerle nel giardino di casa sua, ma io dissi: “Sono un uomo di parola, Sali con me per constatare che rispetto la volontà di tua madre”. Eravamo già in volo quando il pilota mi disse: “Non possiamo sorvolare il cratere, c’è pericolo di essere risucchiati dal vuoto del vulcano, ma può lanciarle da qui”. Quando aprii l’urna ebbi una grande sorpresa: le ceneri erano in un sacchetto di raso lilla chiaro, un colore che a lei piaceva molto. Furono gettate nel cratere del vulcano alle 12 del 19 marzo 1980. Tamara iniziava il suo grande volo, il volo che l’avrebbe condotta all’incontro più bello… quello con Dio. (M.@rt)



    tamaraallafine



    Edited by Milea - 2/7/2014, 10:39
     
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