La sposa del vento

Oskar Kokoschka

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    Oskar Kokoschka, La sposa del vento – 1914
    olio su tela, 181 x 220
    Basilea, Kunstmuseum


    L’amore non si vede. E’ una brezza, un brivido, un vento, fin dai tempi di Saffo. E non lo si rappresenta: si fa. I pittori se la sono quasi sempre cavata dipingendo le fattezze delle loro amanti o mogli trasformandole in modelle, madonne, muse. Altre volte le hanno raffigurate con un realismo che ha scioccato i benpensanti, ma che era invece la prova più grande d’amore- perché l’amore è verità e non abbellimento e mistificazione. Molti di loro, infine, hanno semplicemente eluso il soggetto, preferendo paesaggi o astrazioni. Non c’è niente di più pericoloso per un artista che mostrare i propri sentimenti, le proprie ferite, le proprie illusioni. Il ridicolo ti aspetta al varco. Per accettare la sfida, bisogna essere o molto giovani o molto vecchi. O molto coraggiosi.


    oscar_kokoschka_la_sposa_del_vento_dett

    Oskar Kokoschkaera soprannominato il Gran Selvaggio e il Seminatore di Zizzania (cioè il Diavolo), a causa dei quadri che aveva esposto alle mostre della Kunstschau. Avevano suscitato riprovazione e disgusto. Si distaccavano in modo radicale dalla tradizione e dalle abitudini visive dei visitatori. Nessuna armonia: troppo violenti e maleducati i colori, sgraziato il pennello, troppo sconcertanti i ritratti, che denudavano l’anima dei soggetti come ai raggi X.

    Nel 1914 Kokoschka aveva ventotto anni.
    Avrebbe dipinto per altri sessantasei: una vita intera. Alla fine, dopo lo scherno, l’esecrazione e l’esilio, sarebbe stato considerato un caposaldo della pittura del XX secolo. Ma nessuno dei suoi quasi cinquecento quadri avrebbe avuto la visionaria potenza di questo.

    Non c’è disegno o schizzo preparatorio, i personaggi vengono proiettati direttamente sulla tela con larghe e fluide pennellate: la superficie è un turbine di grumi blu, verdi e viola, i colori sono arroganti e dolorosi come graffi, le forme sottolineate da tocchi di bianco, la profondità dello spazio dalla luce. Come nei quadri dei veneziani, e di Tintoretto in particolare, ammirati a Venezia pochi mesi prima, tutto è colore, luce e movimento.

    La scena rappresenta due amanti
    , un uomo e una donna di notte, sul fare dell’alba, sfatti dalla stanchezza che segue il coito. Sarebbero in un letto, se questo fosse un quadro realista. Ma siccome non lo è, sono in una forma curva che ricorda una barca, o una conchiglia, in balia delle onde, del mare e del vento. L’attrazione che provano l’uno per l’altra si comunica alle forze cosmiche, e diventa corrente elettrica, dinamismo: una tempesta, che li trascina con sé.

    La Tempesta era infatti il titolo originale che Kokoschka aveva dato al suo quadro.
    Gli amanti sono coricati, la donna in posizione dominante. Del resto siamo nel 1914: epoca in cui la donna è fatale. Vampira lussuriosa, forza distruttrice e destabilizzante, spaventa da qualche decennio l’immaginario maschile. Artisti simbolisti e decadenti, e anche psichiatri e filosofi hanno spolpato il tema dell’uomo succube, vittima designata della Femmina.

    Freud ha già rivelato i meccanismi dell’Eros e del principio di piacere ai viennesi - e Kokoschka, nato in una cittadina danubiana di provincia, a Vienna ha studiato, vissuto e amato. La donna dorme, appagata. L’uomo invece è sveglio. Non per proteggerla o difenderla. Lei dorme perché gli è sfuggita nel sonno, è già altrove - imprendibile. Lui veglia, teso, inquieto, in allarme. E’ una scena universale: il sesso, l’abbandono, l’illusione del possesso, l’enigma dell’altro. E’ una scena privatissima, quasi oscena. Perché l’uomo ha i lineamenti del pittore, e quello - benché deformato - è il suo autoritratto. I capelli lisci, il volto oblungo, gli occhi grandi e inquisitori, il mento prominente. E la donna è la sua amante, Alma Schindler vedova Mahler - che si è lasciata travolgere dal suo genio selvatico, gli ha promesso di sposarlo se creerà un capolavoro, ma invece è fuggita, spaventata dalla sua gelosia, dalla sua rozzezza, dalla sua energia.

    Nell’autobiografia, lui scrisse di aver dipinto il quadro quando fra loro tutto era già finito. Usò un verbo molto strano: disse di essersi "districato" da lei. La bellissima, esigente, vorace Alma era diventata la sua ossessione, e Kokoschka poteva trattenerla solo imprigionandola per sempre sulla tela. Lei non rimase turbata dall’esibizione della loro intimità e anni dopo, scrivendo le sue memorie, ammise che quello era il suo ritratto migliore.

    Il poeta Georg Trakl visitò il pittore nel suo studio quando il quadro si stava ancora asciugando sul cavalletto. Conosceva la selvaggia e violenta storia di passione che lo aveva ispirato. Del resto ne sparlava tutta Vienna, che allora era il cuore artistico del mondo. Suggerì un titolo più suggestivo: La sposa del vento. Kokoschka accettò il consiglio.

    Il quadro non gli riportò la sposa mancata. Anzi, finì per sostituirla, diventando non più il simbolo dell’unione spirituale e alchemica che i due si erano illusi di avere realizzato amandosi, ma il suo equivalente materiale. Intanto l’Austria era entrata in guerra. E quando capì che Alma non sarebbe mai tornata indietro, Kokoschka si arruolò volontario nel XV reggimento dei dragoni. Gli allievi ufficiali dovevano possedere un cavallo. Kokoschka vendette La sposa del vento e se ne andò al fronte, sotto le bombe, a farsi sparare in testa, in sella al suo cavallo. A volte anche l’amore assoluto, quello che fa di un giovane selvaggio un uomo, e di un pittore espressionista esecrato da tutti un maestro del Novecento, vale appena il prezzo di un cavallo. Melania Mazzucco




     
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