Violinista alla finestra, Henri Matisse, 1918

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view post Posted on 21/3/2013, 22:11     +8   +1   -1
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Matisse-alla-finestra

Henri Matisse, Violinista alla finestra, 1918
olio su tavola - 97,5x46 cm
Parigi, Musée National d’Art Moderne, Centre Georges Pompidou




Un uomo senza volto suona il violino davanti alla finestra di un appartamento, a Nizza. E’ uno dei rarissimi quadri di Matisse in cui compaia una figura maschile. Le stanze d’albergo e gli appartamenti d’affitto nelle località balneari comunicano all’ospite un senso di estraneità, che può generare malinconia e depressione, oppure esaltazione creativa. Matisse ne fece il palcoscenico dei suoi quadri, oggetto e soggetto di una fase durevole della sua pittura.

Matisse-alla-finestraD

Nella primavera del 1918, Matisse aveva quarantanove anni e già due vite alle spalle.
Era stato un borghese di provincia, che aveva scoperto tardi la sua vocazione e dedicato all’apprendistato tutta la giovinezza, vagando tra accademie e atelier d’artista, in cerca di se stesso. Poi, dopo il Salon des Indépendents del 1906, dove aveva esposto Le bonheur de vivre, si era imposto come maestro dell’avanguardia, trovando raffinati collezionisti che gli acquistavano o commissionavano opere. Poté regalarsi viaggi in Italia, Marocco e Russia, dove si abbeverò di luce e scoprì l’arte islamica e bizantina. Nel frattempo, però, era esploso il fenomeno Picasso, e Matisse aveva dovuto confrontarsi col cubismo e mettere in discussione la sua pittura. Trovava difficile ormai vivere a Parigi e nell’inverno del 1917 scese nel sud della Francia. Fu una rivelazione. L’inverno successivo, vi tornò - definitivamente.

Iniziò a sperimentare il suo nuovo genere: interni sgargianti con seducente figura femminile, in un tripudio di colori e tappeti. Quadri che i critici trovarono borghesi e di retroguardia, ma che divennero popolari. A questi, insieme alle serie della Danza e alle guaches découpées dell’estrema produzione, è legata la sua fama. Matisse dipinse quasi solo donne. Ed è stato uno dei più grandi maestri del colore. Eppure, alle sue odalische e anche alle imprese decorative, con le quali rinnovò la tradizione muraria degli affreschi, preferisco questo quadro di dimensioni modeste, di tono sommesso e dai colori spenti.

E’ un quadro sulla pittura. La struttura dell’immagine è classica: una figura davanti a una finestra. Per la sua forma, un quadro è una finestra aperta, che consente di vedere la storia (l’aveva scritto Leon Battista Alberti nel De Pictura già nel 1436), mentre separa lo spettatore dalla scena. Ma è vero anche il contrario: la finestra è un quadro. Mette in relazione l’interno e l’esterno, il soggetto e il mondo. La storia dell’arte abbonda di finestre. Vere o immaginarie, oniriche o naturalistiche, aperte o chiuse, nel Rinascimento italiano come negli olandesi del XVII secolo, nei romantici come nei contemporanei di Matisse - Monet, Bonnard, Juan Gris, Picasso - raccontano un episodio o un brano di paesaggio; creano profondità o la annullano; delimitano lo spazio o vi risucchiano colui che guarda.

La finestra qui è chiusa.
Gli scuri celesti sono aperti, ma verso l’interno della stanza, immersa nell’oscurità - due rettangoli neri d’ombra che formano la vera cornice del quadro. Il violinista suona volgendo le spalle al pittore e all’osservatore, i quali sembrano perciò collocarsi nella stanza, dentro la quarta parete. L’uomo guarda fuori, ma la sua testa - un ovale bianco come quello di un manichino - si staglia là dove si incrociano i listelli: una parete di vetro lo separa dal mondo. E nella cornice della finestra, al di là del balcone di cui è mostrata solo la balaustra, non vediamo il gioioso paesaggio mediterraneo che ha sedotto l’artista - niente palme, niente spiaggia - ma una nuvola cinerea che incombe sul mare, al punto da inglobarlo in sé. E il cielo non è azzurro, ma color mattone, come il pavimento.

Chi è il violinista? Si potrebbe pensare che sia il figlio dell’artista, l’adolescente Pierre che Matisse aveva costretto a studiare violino e che aveva già ritratto nella Lezione di piano. Nella Pasqua del 1918 Pierre venne a trovarlo a Nizza. Si conserva un disegno, in cui Matisse lo ritrae di spalle mentre si esercita, quasi dallo stesso punto di vista del quadro. Però anche Matisse suonava bene il violino, e cercava di migliorarsi. A Nizza, isolandosi per non disturbare, si esercitava con la stessa diligenza con cui aveva studiato le opere del Louvre. Inoltre Matisse aveva usato già la figura del violinista come colui che scatena la Danza, immagine-simbolo dell’artista. Perciò si potrebbe pensare che il violinista sia lui stesso e che questo sia un autoritratto.

Matisse era ossessionato dai pesci rossi, prigionieri delle bocce di vetro.
Li aveva rappresentati più volte, e in un quadro del 1914 come un’immagine di sé. Lo sguardo sul mondo di Matisse, osservò un amico, era inumano come quello di un pesce rosso. Una volta Matisse stesso disse che avrebbe voluto essere un pesce rosso - per poter guardare il mondo, restandone separato da un diaframma trasparente. E così è il violinista. Solo, assorto - chiuso nella stanza come un pesce rosso nella boccia di vetro, al sicuro mentre il mondo, là fuori, è in fiamme. Mentre la guerra distrugge la vecchia Europa, i suoi collezionisti russi sono travolti dalla rivoluzione bolscevica, la sua pittura di un tempo si allontana da lui e quella nuova deve ancora nascere. Ma nascerà. Il violinista è concentrato unicamente nella musica, cioè nell’arte, perché essa sola dà senso, ordine, bellezza e luce al mondo.

Elegante, raffinato, circondato di lusso, bellezza e voluttà, Matisse parlava di sé solo dipingendo.
La sua produzione sterminata è l’espressione di un mondo a colori, di una gioia di vivere e di creare che neanche la malattia interruppe. Che questo quadro rappresentasse un’anomalia rischiosa lo dice, del resto, Matisse stesso. Non volle mai venderlo, né esporlo. Lo conoscevano solo i pochi eletti ammessi alla sua intimità. Questa coi vetri chiusi e gli scuri spalancati all’interno è dunque l’unica finestra della sua produzione che si apre all’inverso: ci permette di entrare nella camera oscura della sua arte e di guardare dentro di lui. Melania Mazzucco



Edited by Lottovolante - 11/2/2015, 19:57
 
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view post Posted on 5/6/2014, 16:21     +1   +1   -1
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Matisse, l’altra metà dell’avanguardia


L'artista francese conobbe il furore del Fauve, ma si tenne distante dal grande gorgo del Cubismo. Per lui la pittura fu la pittura e niente altro, per questo non sentì mai il bisogno di tornare all'ordine



L'altra metà dell'avanguardia a Parigi si chiama senza alcuna esitazione Henri Matisse, dato per scontato che Picasso occupa il primo posto. Al pittore francese sono state dedicate negli ultimi anni numerose mostre, ma sempre sul confronto con un altro da sé: da quella al Centre Pompidou con il malageño alla più recente al Vittoriano con Pierre Bonnard. Matisse è un pittore-pittore che non conosce intenzionalità seconde. Infatti non dipinse Guernica né mai l' avrebbe potuta dipingere, dipinse colombe, ma non quelle della pace col ramoscello d' olivo in bocca, così care a Picasso e a Stalin, ma proprio colombe: pennuto docile, dal capino piumato e dal corpo bianco e morbido.

Come quella che il vecchio maestro tiene tra le mani in una celebre foto che scattò, nel suo atelier, Cartier-Bresson. Per un artista che conobbe il furore dell' avanguardia Fauve ma che si tenne distante dal grande gorgo del Cubismo, la pittura è la pittura e niente altro. Lo si vede assai bene nella mostra Matisse 1917-1941 (allestita nel 2009 al Museo Thyssen-Bornemisza, ndr) la quale adotta una periodizzazione centrata sugli anni della piena maturità.

MatisseRitratto

Nel 1917 la grande spallata delle avanguardie s'andava esaurendo e si avvia quel rappel à l'ordre a cui non si sottrassero né Picasso né Stravinsky. Matisse non doveva tornare all'ordine, l'ordine in effetti non l'aveva mai davvero trasgredito: anche se s'era appassionato alle maschere africane ancora prima di Picasso, anche se il colore dissonante e gridato l'aveva praticato da Fauve la sua forma rimase idealmente vicina alla linea che ebbe in Jean-Dominique Ingres un incontrastato capostipite.

Anche per questo Matisse lasciò Parigi e si trasferì nel sud, a Nizza, dinanzi allo spettacolo del mare che continuò ad attrarlo e affascinarlo per il resto della vita. Fece una scelta simile a quella di Ingres che era approdato al sole di Roma. La ville lumière è attraversata da troppe tensioni e conflitti che possono prosciugare il colore sulla tavolozza e nelle setole del pennello. A Nizza abbandona i grandi formati e i colori distesi a larghe pennellate adoprati in quelle che lui stesso chiamò "composizioni decorative": si volse a una "pittura di intimità". La mostra madrilena è scandita in sei sezioni tematiche: mescolare le carte è un gioco come un altro, ma la cara scansione cronologica è a mio avviso sempre strada maestra.

Dipinge molti interni negli anni che vanno dal 1917 al ' 20: la finestra e il balcone sono degli occhi che guardano verso il paesaggio e verso il tempo. Alcuni privilegiano un oggetto come quello con un violino in primo piano. Nella pittura del Novecento la flessuosa forma degli strumenti musicali ebbe un straordinaria fortuna. Qui il violino è in un astuccio dal rivestimento blu: una persiana verde è per metà aperta. In due altre tele i balconi sono spalancati sull' azzurro del mare, in una si scorge una palma della Promenade des Anglais.

Un tavolino con uno scrittoio da un lato, nell' altra una donna che medita: ci sono tende ai balconi per proteggere l' interno con un parato giallo uovo, in un caso, virato sui verdi grigi nell' altro. Gli interni sono spesso dei piccoli teatri in miniatura come nella Lettrice distratta (1919) o La pianista e i giocatori di dama: l'intimo è la cifra di questa tela che ci offre del mondo un angolo che diremmo essere fuori dal reale tempo storico. È questo il dono di cui è capace Matisse che ci induce a sognare scrutando l'intimo del suo piccolissimo mondo: il piano e la dama, i fiori e gli specchi o le gioie di una toilette femminile, un libro aperto su una scrivania.



I formati dei dipinti sono sempre gli stessi e non superano quasi mai il metro per settanta. Lo spazio esterno è assai spesso incorniciato in un telaio visivo che riduce l'effetto naturalistico, ma dà spessore alla Donna seduta con le spalle volte alla finestra (1922 ca.), vele bianche all'orizzonte, palme, colori azzurri ritagliati dal giallo e da un tessuto decorativo all'orientale. Matisse amò molto il Marocco e il mondo arabo proprio come l'Ingres dell'Odalisque e tra i più bei pezzi in mostra c' è infatti la sua celebre odalisca del Musée d' Art moderne de la ville de Paris. Poggia il capo su un canapé la fanciulla dai lunghi capelli neri, ha pantaloni a sbuffo e alla caviglia un bracciale. In primo piano una scacchiera, segno di meditazione, e alle spalle un splendido vaso di fattura islamica.

Un tessuto decorativo rosso e blu cobalto avvolge la scena. Ma l'odalisca, donna dalle forme sode, seduta su un divano e in posa impudica, torna in una tale del ' 25; odalische in coppia, come i nudi michelangioleschi della Cappella Medici, ritornano in numerose tele della metà degli anni Venti dove la sensualità delle forme muliebri è intensamente incline al volume e alla profondità. Nel 1930 Alfred Barnes gli chiese per la pinacoteca che aveva costruito a Filadelfia una grande composizione: Matisse tornò al tema della Danza già affrontata nel 1910 per un mecenate russo. Dopo quattro anni di lavoro, ritornò alla pittura dell' intimo, al liquefarsi del coloree alle tinte tenui, con la stessa gioia di vivere.























 
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