Due figure nell'erba, Francis Bacon, 1954

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Francis Bacon, Senza titolo (Due figure nell'erba)
olio su tela (1954)
Parigi, Collezione privata



È un quadro che disorienta. Le pennellate caotiche, a creare un tappeto tattile, organico; i colori colati sulla tela; l’immagine nitida ai lati e liquefatta al centro, come in una fotografia con l’esposizione sbagliata, incapace di fermare il movimento. E’ un quadro che provoca. Per la forma, il soggetto e perfino il titolo, che richiama la terminologia accademica: Due figure nell’erba.
Nel 1954, anno in cui fu dipinto, l’arte astratta ha sopraffatto l’arte figurativa e condannato il soggetto come inutile zavorra della tradizione. Bacon si ostina a conservare l’apparenza delle cose.

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Siamo nello stesso tempo dentro una sorta di camera della tortura - recintata da una struttura tubolare simile a un ring e da un panneggio simile a un sipario di teatro - e all’aperto, su un prato: i fili d’erba, fittissimi, sembrano mossi dal vento. La struttura imprigiona e nello stesso tempo protegge le due figure avvinghiate che lottano furiosamente. La loro pelle si compenetra con l’erba, metamorfosandosi in essa. I loro corpi si congiungono sino a fondersi l’uno nell’altro. Il coagulo di carne che ne risulta assume una forma animalesca. L’enigmatico rettangolo nero, che occupa la parte inferiore della tela, respinge lo spettatore come uno specchio cieco - lo tiene a distanza.

Bacon non dipingeva dal vivo, davanti al modello reale.
Preferiva partire da una fotografia. Nel suo studio ammucchiava in un magmatico caos ciò che aveva visto e selezionato: foto di boxeurs, calciatori, cani, dittatori, amici, foto mediche ritagliate da libri sulle malattie della bocca, radiografie di cavi orali, studi di anatomia e disegni di nudi di Michelangelo, il fotogramma della bambinaia della Corazzata Potëmkine il pastello di un nudo femminile di Degas, ritratti di antichi maestri riprodotti coi colori saturi o sballati. La manipolazione di un testo altrui gli garantiva più autonomia di espressione e nella libertà della creazione la promiscuità delle immagini generava imprevedibili associazioni, inconsce e non intenzionali. Fra i suoi quadri più celebrati figurano gli studi che realizzò, a partire dal 1950, dal Ritratto di Innocenzo X di Velázquez, alla Galleria Pamphilj. Quel quadro di papa in porpora ossessionò Bacon per tutta la vita. Eppure, nemmeno quando venne a Roma, nel 1954, sentì la curiosità di vederlo.

Due figure nell’erba nasce da una fulminante combinazione.
«Michelangelo e Muybridge si sono fusi nel mio spirito» ha dichiarato Bacon «può darsi che io abbia appreso da Muybridge qualcosa sulle posizioni e da Michelangelo la grandezza della forma». A Michelangelo Bacon attribuiva i nudi maschili più voluttuosi della storia dell’arte; di Eadweard Muybridge invece lo assillavano le sequenze sulla meccanica del movimento umano (pubblicate in volume nel 1887, avevano influenzato anche Degas). Two men wrestling coglieva due lottatori nudi avvinghiati sul tappeto di un’arena. Nel 1953 la foto era già servita a Bacon come struttura di base per Two figures: Due figure nell’erba può considerarsi il secondo pannello di un dittico immaginario.

Ma, come sempre, Bacon opera una deformazione - o “registrazione distorta”.
E ai corpi fotografati sovrappone corpi reali. I due maschi si danno battaglia sull’erba, ma non stanno praticando sport. E’ come se Bacon accendesse i fari della macchina, investendoli di una luce abbagliante. Siamo voyeur di una scena di violenza o di sesso - o piuttosto di entrambe: di sesso violento. Nessuno aveva mai osato mostrare l’atto che per ogni società e convenzione artistica è il più osceno - indicibile e non rappresentabile. Tollerato ipocritamente nel segreto di una camera da letto, ma a volte nemmeno in quello. Nel 1954 in molti stati la sodomia era ancora perseguita penalmente, e in Inghilterra - paese in cui Bacon, nato a Dublino, viveva dopo la giovinezza trascorsa a Parigi e Berlino - l’omosessualità divenne legale solo nel 1967.



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Due figure nell’erba fu esposto a Parigi e a Roma, ma nessun museo pubblico l’ha acquistato. A Bacon però non interessa scandalizzare né sedurre. Refrattario a ogni messaggio politico o morale, non intende rivendicare alcunché, né mettere in piazza la sua vita privata (benché qualcuno abbia voluto identificare nelle Due figure lui stesso e il suo amante). Dagli anni ‘40 pratica una pittura aggressiva, monumentale e disturbante, popolata da ammassi di carne sanguinolenta, bocche urlanti senza volto, membra sfatte e bestiali. I suoi sostenitori ritengono che quelle figure mostruose esprimano la disperazione dell’umanità massacrata dalla dittatura e dalla guerra mondiale, e in sostanza la solitudine e la disperazione dell’uomo contemporaneo.

I suoi detrattori la trovano solo repellente. Lui ritiene che l’arte sia sempre un modo di reinventare ciò che viene chiamato reale, strappando il velo che lo offusca: e la realtà nuda non ha nulla di spirituale o trascendente, è materia, carne, violenza. L’uomo è una creatura futile, un corpo destinato alla disgregazione, e la sua vita non ha significato né scopo. L’artista può solo tentare di «registrare i suoi sentimenti riguardo a certe situazioni, rimanendo il più possibile vicino al suo sistema nervoso».
Due figure nell’erba è più indefinito del predecessore senza erba, e talvolta lo si vede perfino nelle pubbliche mostre. Eppure trasuda un erotismo selvaggio. Dal tempo di Michelangelo nessuno aveva rappresentato il corpo virile con simile oltranza.

Bacon non pone limiti alla rappresentazione. Dipingerà un nudo maschile seduto sulla tazza del cesso. Mentre vomita e muore. Dipingerà altre volte anche i due maschi a letto, su un materasso o in una stanza. Il tema claustrofobico della “figura in un interno” - rinchiusa come una bestia in gabbia, e incorniciata e isolata nello spazio da intelaiature, trespoli, sipari - può anzi essere considerato il più propriamente suo. Quello di Due figure nell’erba è insomma uno dei suoi temi ossessivi. Anni dopo, Bacon spiegò all’intervistatore-biografo che questo era «un soggetto senza fine. Davvero, non c’è bisogno di nessun altro». Alla fine, si tratta del desiderio di passare da un corpo all’altro, di sciogliere i confini della pelle e diventare uno. Chiunque può riconoscervisi. Melania Mazzucco




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Edited by Milea - 17/8/2021, 16:46
 
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Francis Bacon
il paladino del caos tra sogni e incubi




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Bacon dipinto da Lucien Freud



Quando, circa dieci anni fa, il contenuto dello studio londinese di Francis Bacon fu trasportato in blocco a Dublino, la maggiore difficoltà consistette nel preservare la polvere che vi regnava sovrana. Il resto - un fantastico accumulo di spazzatura e testimonianze preziose: carte, fotografie, ritagli, bot-tiglie di champagne vuote, multiformi contenitori di pittura (tubetti, pastelli, barattoli, bombolette) mescolati a scatole di conserva, pennelli, libri, stracci, tele squarciate, dischi, attrezzi, spugne e vestiti vecchi; in totale più di settemila oggetti - fu rilevato, catalogato, mappato con cura maniacale e ricostruito in maniera apparentemente identica alla Hugh Lane Gallery.

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“Due figure”- 1975, Collezione privata

Un'operazione costata un milione e mezzo di sterline e durata mesi.
Solo per trasportare il tavolo e quanto vi era accatastato furono necessarie otto settimane di lavoro. In quanto alla polvere, la pre-ziosa polvere accumulatasi per tre decenni e che tanta parte aveva avuto nella ricerca pittorica di Bacon, fu raccolta, impacchettata, etichettata "Bacon' s Dust" e ridistribuita con cura sul tappeto impastato di pigmenti che copre il pavimento nella nuova sede, ricreando la materia viscida e multicolore che ai rari visitatori richiamava immancabilmente il compost, il prezioso terriccio fertile rigenerato dalla decomposizione di materiali organici.

Per trent' anni il piccolo edificio al 7 di Reece Mews era stato abitazione e laboratorio, rifugio di un solitario e allo stesso tempo sede di una corte bislaccae ambigua, formata da artisti, mercanti, critici ma anche ragazzi di vita, ladruncoli e piccoli spacciatori. Una corte che ruotava intorno ad uno dei massimi artisti del secolo scorso. Esservi ammesso rappresentava un'esperienza straordinaria, il cui resoconto, come nel caso del libro di Franck Maubert, non poteva prescindere da una meticolosa descrizione dell'ambiente. Per arrivarvi ci si arrampicava su una scala talmente stretta e ripida che i quadri che uscivano dallo studio venivano immancabilmente graffiati ai bordi.

Una corda faceva le veci di corrimano, testimonianza della primitiva modestia della sistemazione: un tempo i mews erano edifici di servizio, usati come rimesse e alloggi per cocchieri. Il piano superiore, oltre allo studio, ospitava una camera da letto scenograficamente melodrammatica - velluti, coperte damascate - e un bagno che fungeva anche da cucina, ingombro di biancheria stesa ad asciugare e di padelle rigurgitanti di pigmenti e colori. Bacon vi era arrivato nel 1961 dopo un lungo pellegrinare per Londra, alla ricerca di un luogo adatto per lavorare.


Tentativi falliti uno dopo l'altro lo avevano portato dall'East End (allora troppo squallida), ai bordi del fiume (troppa luce) fino a quartieri borghesi in cui aveva perfino arredato un ambiente con tende e moquette (troppo noioso).
A Kensington invece si era subito sentito a proprio agio e lo studio divenne il solo punto fisso di una vita complicata. Il caos ne era parte integrante. "Mi sento a casa nel caos", diceva, "perché il disordine suscita delle immagini, ad ogni buon conto mi piace, potrebbe essere lo specchio di quello che avviene nella mia mente". Nella stanza la luce proveniva dal soffitto, ed era riverberata da un grande specchio rotondo, rotto e consumato, che dominava la parete di fondo. Uno specchio nero, simile ad uno strumento divinatorio, che sottolineava la qualità di antro magico, di laboratorio alchemico di cui l'ambiente era impregnato.


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"Studio per autoritratto"


Bacon lavorava solo la mattina, nella più assoluta solitudine, come uno sciamano in trance, compiendo gesti istintivi e spesso violenti. La pittura veniva scaraventata sulle tele, soffiata o sputata insieme all'alcool, graffiata usando gli oggetti più disparati, scope, pettini e spezzoni di bottiglia, oppure strofinata con stracci, brandelli di pantaloni di velluto o vecchi golf di cachemire. C' era nella violenza del gesto, nella ricerca angosciante del mezzo, un aspetto erotico che all'artista stesso era perfettamente evidente. Blowjobs, chiamava alcuni dei suoi interventi sulla tela.


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"Figura che scrive riflessa nello specchio"


Autodidatta, la sua sperimentazione con il materiale pittorico ed i sistemi per usarlo era virtualmente infinita. Passava dai pastelli alla vernice per automobili, dall'ovatta alla polvere raccolta dal pavimento e impastata col colore per rendere la morbidezza della flanella in un ritratto, a sabbia e terra spalmate sul quadro per raffigurare appunto terra e sabbia. La tela spesso era usata a rovescio, dal lato grezzo, proprio per sfruttarne tessitura e granulosità. È significativo che, tra le migliaia di oggetti raccolti e catalogati dagli archeologi, veri professionisti dello scavo, incaricati del trasloco dello studio, non sia stata rinvenuta neppure una tavolozza.

In compenso i muri, le porte e ogni superficie disponibile erano impastati di colore, e pesantemente marcati da gesti di forza. Il grande specchio rotondo era stato rotto nel corso di una rissa. Spesso lo studio era occupato da gruppi di ragazzi di vita; in loro presenza l'accoglienza agli estranei poteva diventare difficile, aggressiva, sia verbalmente che fisicamente. Incombeva la sensazione di un gioco perverso con forze oscure e pericolose. Talvolta Bacon lasciava in giro fasci di banconote, che regolarmente sparivano, una prova soddisfacente del marcio che vedeva nei suoi compagni e, con orgoglio, in se stesso.


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"Studio per la testa di George Dyer"


La scelta fatta dal suo ultimo amante ed erede di donare il contenuto dello studio alla città di Dublino, rappresenta in qualche modo una sorta di riconoscimento postumo all'infanzia dell'artista. Dubli-no era la città in cui, nel 1909, Bacon era nato. La sua famiglia era inglese, numerosa e borghese. Il padre allevava cavalli da corsa e con lui Francis entrò presto in rotta di collisione. Fu un rapporto di odio, amore e attrazione sessuale che per tutta la vita pesò sulla sua psiche. Secondo una storia ormai leggendaria fu cacciato di casa a sedici anni perché scoperto ad indossare la biancheria intima della madre. Fatto frustare dagli stallieri di casa, finì col trasformare la punizione in un'epifania erotica. Delle sue tendenze omosessuali e sadomasochistiche non fece mai mistero.


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"Ritratto di Henrietta Moraes"


Del suo strano e anticonvenzionale narcisismo neppure. Sotto i pantaloni strettissimi ed il sempiterno giubbotto di cuoio nero, cimelio giunto a Dublino insieme al materiale dello studio, indossava a quanto pare calze a rete e biancheria femminile. Il volto, forse liftato, era pesantemente imbellettato, i capelli tinti con il lucido da scarpe e i denti, sempre secondo la leggenda accuratamente coltivata dell'artista maledetto e fuori da ogni schema, lavati col vim. Questa era la mitologia, meticolosamente costruita, che aureolava Francis Bacon. Ne facevano parte l'aneddotica sul suo passato, gli amori tragici, le frequentazioni lo-sche e le infinite provocazioni.


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"Studio per un ritratto"


Da questo punto di vista lo studio di Reece Mews, così come la Conversazione con Bacon, pubbli-cata da chi ha avuto la fortuna di poterla documentare, sono profondamente rivelatori della vera essenza del suo operato. O forse no. Le tracce, le stropicciature, gli sfregi che segnano le foto che a centinaia si accumulavano sul pavimento dello studio potrebbero testimoniare un gesto, un intervento, un interesse, oppure la più assoluta casualità. Le parole riportate potrebbero essere verità o sottile provocazione. Studiosi e ricercatori hanno a disposizione materiale sufficiente per interrogarsi per decenni sui meccanismi di creazione di un genio che fu anche un uomo profondamente tormentato ed infelice.



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Study after Velazquez's Portrait of Pope Innocent X.1953




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Study from Portrait of Pope Innocent X, Francis Bacon, 1965






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"Tre studi per un autoritratto"




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"Testa III", particolare



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"Trittico 1976"
Fonte





Edited by Milea - 17/8/2021, 17:02
 
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