CESARE PAVESE: biografia e opere

Vita e opere di Cesare Pavese

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  1. Milea
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    La solitudine e il mito




    Una situazione, una “figura” sono ricorrenti e tipiche nell’opera di Pavese: quella dell’espatriato, di colui che si è allontanato, sradicato dal proprio mondo, è andato in giro, magari ha fatto fortuna, ma prima o poi, nel ritorno ai propri luoghi e nel rimpatrio, tenta ancora l’aggancio col passato infantile: dal protagonista della prima lirica (I mari del sud) della raccolta poetica a quello dell’ultimo romanzo: Anguilla de La luna e i falò. Condizione questa che, d’altra parte era sul piano biografico proprio quella di Pavese, sradicato dalle Langhe.

    Alla condizione di solitudine, alla impossibilità di avviare un colloquio con gli altri - derivante proprio da questa condizione di estraniato- si possono opporre come unica difesa il “paese” ( un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti, dichiara Anguilla), il ricordo e i legami - in una dimensione che è nel contempo sentimentale e biologica - col mondo primigenio e autentico dei luoghi e dei tempi dell’infanzia. Tutto è nell’infanzia, anche il fascino che sarà a venire… così a ciascuno i luoghi dell’infanzia ritornano alla memoria; in essa accadono cose che li han fatti unici e li trascelgono sul resto del mondo con questo suggello mitico.

    Su questa idea del mito Pavese lavorò molto nell’intento di chiarificare quella che consapevolmente riteneva una componente di fondo della sua arte; la meditazione sul Vico, gli studi di etnologia, i suoi legami con l’irrazionalismo decadente convergono nell’elaborazione di questa sua idea-base secondo la quale in noi, in un aurorale contatto col mondo, si creano miti, simboli, che assurgono a significazione delle cose, irrazionale ma definitive e determinante per il futuro: una sorta di memoria del sangue.
    Il mito cioè è un fatto avvenuto una volta per tutte che perciò si riempie di significati e sempre se ne andrà riempiendo in grazia appunto della sua fissità, non più realistica… Esso avviene sempre alle origini, come nell’infanzia: è fuori del tempo…



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    mark2j
    Il problema, certo, è assai complesso, ma dalle riportate citazioni si può trarre già una conclusione: quanto lontano sia Pavese, partendo da premesse del genere, da ogni finalità di realistica rappresentazione. Il compito dell’artista è quindi nella escavazione di questo fondo mitico primigenio e irrazionale, nel recupero dei suoi momenti esemplari, nel dare forma, parola a tutto ciò (l’arte moderna è, in quanto vale, un ritorno all’infanzia. Suo motivo perenne è la scoperta delle cose, scoperta che può avvenire, nella sua forma più pura, soltanto nel ricordo dell’infanzia).
    Ed è significativo che, in piena battaglia per il neorealismo, Pavese sottolineasse questa dimensione evocative e lirica dell’arte, questa fondamentale importanza della parola che per lui è ben altro che strumento di mimetica registrazione, come per lui l’arte è ben altro che naturalistica rappresentazione dei fatti.


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    mark2j
    Da quanto si è detto si possono dunque enucleare due filoni di fondo da tener presenti come indicazioni-guida per la comprensione dell’opera di Pavese:
    1. La vita fatalmente ci stacca da mondo dell’infanzia, dai luoghi e dai miti in essa verificatesi ed ecco l’esperienza della solitudine, di un epidermico rapporto con gli uomini che non tocca le ragioni profonde del nostro essere, ecco la consapevolezza dell’estraneamento, del peso di vivere, dell’inaridirsi: come di un albero trapiantato in un terreno non adatto.

    Ma la solitudine di Pavese, pur se di chiara matrice decadente, ha un timbro tragico che nei testi esemplari della suddetta stagione letteraria mancava: non è sentita come blasone di nobiltà, come compiaciuta e aristocratica diversità dagli altri, ma come tragica incapacità di vivere -val la pena esser solo, per essere sempre più solo? - come bruciante problema che va posto e risolto: tuto il problema della vita è questo: rompere la propria solitudine, come comunicare con gli altri annota ne Il mestiere di vivere.

    Tutta la vita di Pavese è contrassegnata da questo supremo impegno, da questa ricerca di comunicazione- l’esperienza sentimentale perennemente vagheggiata e risoltosi sempre in frustrazione, la militanza politica volontaristicamente perseguita – che non trova però la sua realizzazione e approda anzi alla tragica confessione del fallimento.

    2.L’arte trarrà alimento ovviamente da questa condizione dell’uomo e metterà in luce l’elemento per così dire negativo, cioè la banalità e la non autenticità del vivere cittadino, ma soprattutto mirerà -e sarà questo il suo elemento “positivo”- al recupero dei miti dell’infanzia, alla espressione del loro potenziale simbolico. Il che vuol dire: scavo nella propria interiorità, alla scoperta delle radici del proprio essere, del proprio destino che, per le teorie del mito, si è determinato nell’infanzia. Da ciò nasce quella contrapposizione (città-campagna, Torino-Langhe) tipica di tanti libri di Pavese e il dialettico rapporto tra i due termini. (Milea)



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    Edited by Milea - 10/5/2014, 09:03
     
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