Il monaco sulla riva del mare, Caspar David Friedrich, 1808-1810

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view post Posted on 13/12/2013, 17:04     +7   +1   -1
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Caspar David Friedrich
Il monaco sulla riva del mare
(Der Mönch am Meer)
1808-1810 circa
olio su tela - 110 × 171,5 cm.
Berlino, Alte Nationalgalerie



Di notte, sulla riva del mare, si aggira solo una figura vestita di scuro - sperduta nell’immensità grigia del cielo che lo sovrasta. La riga nitida dell’orizzonte divide l’acqua e l’aria. La sabbia chiara fa risaltare la sagoma dell’uomo. Che è minuscola: la sua testa non sfiora nemmeno l’orizzonte. Il contrasto fra le dimensioni non potrebbe essere più forte. Non c’è nessun raccordo tra primo piano e sfondo, tra figura e paesaggio: l’uomo e la natura sono incommensurabili. Il mare è uno specchio livido su cui volteggiano virgole bianche: i gabbiani. Il quadro fa ascoltare il silenzio di una spiaggia nordica deserta, rotto solo dal bercio degli uccelli. Le nuvole sembrano generarsi da sé, avanzando verso di noi. Incombono, brumose come fumo. Occupano i tre quarti della superficie pittorica. Niente è più difficile che dipingere le nuvole. Esse sono immateriali, informi.

Quando Goethe gli chiese di illustrare le teorie meteorologiche di uno scienziato sull’origine delle nuvole, Friedrich rifiutò. Le nuvole per lui non erano materia di studio scientifico, ma metafisico: segni arcani del trascendente.

Il quadro è di una nudità ascetica, identica a quella dello studio sulla riva dell’Elba, a Dresda, in cui fu dipinto: Friedrich vi teneva solo il cavalletto. Non una seggiola né un album, nemmeno la scatola dei colori. Niente doveva disturbare la sua concentrazione. Preparava con cura le sue tele, riempiva i quaderni di disegni meticolosi dal vero - alberi con tronchi e fogliame, scogliere, montagne. Ma il quadro doveva nella sua mente, come un ricordo e una visione: perché il compito del pittore non è la fedele rappresentazione della realtà davanti a lui, ma il riflesso di questa dentro di lui, nella sua anima. Solo allora poteva dipingere.

Massima sobrietà nella selezione degli elementi pittorici e del colore
, con la tavolozza arpeggiata sulle sfumature e sulle armonie del grigio. Il monaco, le nuvole e il mare. Nessuna cornice guida lo sguardo dello spettatore o aiuta a dirigerlo. Non un albero, una colonna, una quinta laterale qualunque - come imponeva la tradizione della pittura di paesaggio e la grammatica della visione. Con audacia, Friedrich eliminò il superfluo: rappresentò il vuoto e si avventurò verso l’astrazione pura. Le composizioni per bande orizzontali di Rothko sono state spesso paragonate a questo quadro. L’unico elemento verticale di un’immagine costruita sull’orizzontalità è il viandante sulla spiaggia. Ci volta le spalle, costringendo lo spettatore a identificarsi con lui - a guardare ciò che lui guarda. Indossa una tonaca. È un monaco. Ha le sembianze del pittore stesso.

L’artista è un messaggero di Dio, l’arte una religione.
I quadri devono far vedere l’invisibile. Il monaco sulla riva del mare trasmette la vertigine dell’infinito. Il rapimento davanti all’assolutamente grande. Insomma, l’esperienza estetica del sublime. Che è anche smarrimento, sconfinata solitudine. Friedrich lo concepì come primo capitolo di una storia. Nel secondo, Abbazia nel querceto, raffigurava il proprio funerale. Minuscoli monaci neri accompagnano il confratello morto (il pittore) alla sepoltura: verso un rudere gotico, in una foresta scheletrita della Pomerania svedese, sulla costa del mar Baltico.

Dunque il Monaco è anche una meditazione sulla morte - sul passaggio dal finito all’eterno.
La spiaggia è un limite, l’orlo del mondo. Come la riva dell’Acheronte. In una prima versione, Friedrich aveva dipinto due navi che veleggiavano all’orizzonte. Nella seconda metà della sua vita, e fino alla morte, avrebbe dipinto spesso velieri. Vascelli reali e fantasmatici, veicoli di viaggi reali e simbolici - verso l’altrove, l’ignoto, l’aldilà. Qui, invece, li ricoprì di pittura, cancellandoli. Nulla deve frapporsi fra il monaco e l’infinito. Il monaco è dunque il pittore stesso, ogni spettatore, ma anche un’anima sul punto di varcare il confine - e scoprire il mistero dell’universo.

Gli scrittori, i pittori, i musicisti e i filosofi romantici - ospiti provvisori e a disagio nel mondo - erano ossessionati dalla morte. Leggevano i Canti di Ossian e i versi di Novalis; la nostalgia dell’infinito li induceva talvolta al suicidio o alla follia. Nel 1808-10, Friedrich condivideva le loro aspirazioni e le loro angosce. Malinconico dall’indole «strana, tetra e dura», in gioventù seminava nei propri quadri tombe, cippi, croci, civette, cimiteri. Ma non vedeva la morte come annientamento. Credeva in Cristo, in Dio, nella resurrezione. Per vivere in eterno, la morte era necessaria: non una fine, ma un passaggio. Il monaco è solo nel mondo. La ragione e la conoscenza non bastano a spiegarlo. Nel suo cammino non troverà soccorso né salvezza. Eppure deve continuare a cercare.

Brentano, von Arnim, Kleist e Goethe ammirarono l’atmosfera e la lugubre bellezza del quadro, ma rimasero anche atterriti e sgomenti da questa «pittura del nulla». Così chi lo comprese davvero fu un ragazzino di 15 anni. Non bisogna meravigliarsi. L’adolescenza aspira all’assoluto. Il ragazzino convinse il padre ad acquistarlo. Il padre era Federico Guglielmo III di Prussia, e il ragazzino il principe ereditario: sarebbe diventato sovrano a sua volta. Il regale apprezzamento cambiò la vita di Friedrich. Il malinconico misantropo fece parte della comunità, partecipò con slancio (da artista, non da soldato) alle guerre di liberazione contro Napoleone, sognò pace, libertà e democrazia. L’entusiasmo svanì presto, come il successo, la gloria e la ricchezza.

Il mistico Friedrich ricevette dai contemporanei critiche sempre più perfide
, venne dimenticato e morì indigente e incompreso. Ma aveva già divorziato dal suo tempo. La malinconia virò in depressione e mania di persecuzione. Continuò a dipingere cieli, velieri, naufragi - la terribilità della natura e la fragilità dell’uomo e delle sue illusioni. Friedrich si sapeva minuscolo, irrilevante come un granello di sabbia. Eppure capace di pensare l’infinito, e di rappresentarlo. L’aveva detto in questo quadro, dipinto nella maturità dei suoi trentacinque anni. L’uomo sta in piedi sulla riva del mare, ritto, quasi eroico - un orgoglioso punto esclamativo nell’immensità del cosmo.




Melania Mazzucco






Edited by Milea - 2/2/2023, 18:04
 
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view post Posted on 13/12/2013, 17:37     +1   -1
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Friedrich: immensità e solitudine

Il pittore melanconico che voleva parlare con Dio



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Croce sulla montagna



Il destino lega gli uomini, mi veniva di pensare, ponendo attenzione alla data di nascita di Caspar David Friedrich: 1774. Nello stesso anno veniva pubblicato I dolori del giovane Werther di Goethe, manifesto di un nuovo sentimento della natura, della vita e della morte: il poeta di Weimar fu un appassionato ammiratore e collezionista del pittore. Caspar, nato nella piccola cittadina di Greifswald sul mare Baltico, perde la mamma a sette anni e poi uno dei nove fratelli annega per salvarlo dal furia del mare.

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Un' infanzia non fortunata lo segna.
A vent' anni il suo primo maestro di pittura l' induce a iscriversi all' Accademia di belle arti di Copenaghen: fa il suo tirocinio e si fa apprezzare dal maestro Nicolai Albidgaard, pittore colto, legato al gruppo letterario di quello che viene indicato come il Rinascimento nordico: la poesia di Klopstock, le saghe nordiche, il mito gaelico di Ossian sono temi comuni al gruppo. Sono queste letture e questi riferimenti a formare la vena melanconica del giovane. Così come la severa educazione pietista è parte della sua poetica intimista. In esordio infatti esegue i ritratti di molti familiari e autoritratti a penna o a matita, sono assai belli al pari degli esercizi di calligrafia gotica.

Nel 1798 si trasferisce all' Accademia di Dresda, ma sono le magnifiche collezioni pubbliche della Gemaldegalerie a sollecitarlo: più che la scuola preferisce osservare van Ruysdael, Poussin e Dughet, frequentare i boschi e i paesaggi che circondano questa piccola Atene del nord. Cespugli, mulini, giganteschi alberi, piccole case, ponti e cippi tornano nei suoi album che poi, spesso, finisce in studio ad acquerello: dipinge talune scene per I Masnadieri di Schiller.

Altro nume della cultura romantica. Nulla ancora sembra presagire che dalla crisalide stia per nascere una farfalla, che comincerà a volare nell' isola di Rugen nella primavera del 1801: i miti dei bardi nordici sono di casa, la memoria di Philipp Hackert che da giovane aveva amato e dipinto quest' isola perduta nei mari del nord. Ma Hackert, come Reinhart e Koch dopo di lui, erano fuggiti in Italia. Friedrich resta nell' isola e incomincia dipingere paesaggi: campagne, coste, navi alberate, barche affondate alle deriva, grandi massi. Per la prima volta si vedono assieme circa 120 disegni e una settantina di tele al Folkwang Museum (fino al 20 agosto) in collaborazione con la Kunsthalle di Amburgo, per una retrospettiva che non ha uguali e che ha per sottotitolo l' invenzione del Romanticismo: ma nel saggio d' apertura dello splendido catalogo Werner Hoffman, decano degli studi, fa seguire ad «eine erfindung» (un' invenzione) un bel punto interrogativo. Questione delicatissima che non si può neppur sfiorare in questa sede.


Sera
Sera


Lentamente Caspar comincia a sperimentare la pittura ad olio
ed intento ad una tela di grandi dimensioni lo raffigura nel suo atelier l' amico Georg Friedrich Kersting (1811), con lui intraprende un viaggio nelle montagne del Rienergesbirge a sud di Dresda. Inizia il suo lungo peregrinare: i suoi paesaggi di montagna sono pervasi da una volontà di assoluto e la filosofia della natura di Schelling e dei fratelli Schlegel sono il retroterra della sua poetica panteista, così come la poesia di von Kleist e, più tardi, i Lieder di Franz Schubert sono il sottofondo sommesso della pittura di Friedrich. Non c' è tra i pittori della sua generazione qualcuno che abbia saputo coniugare con splendida pulitezza e pari intensità, le luci della notte, i riverberi delle stagioni sui monti e le diverse ore del giorno dall' alba al tramonto. Cime acuminate emergono possenti e silenziose in tante sue tele. Poche figure umane, qualche croce. Una fredda vena mistica attraversa la pittura di Friedrich: non ci sono fervori controriformistici in questo panteismo religioso, quanto la vocazione ad una dimensione dell' uomo che esprime una profonda nostalgia, una Sehnsuscht verso l' infinito. Paesaggi avvolti nella nebbia e tra le nuvole o bagnati dalla coltre bianca delle nevi sono i mezzi attraverso cui il pittore prova a comunicare con l' Assoluto, con Dio stesso.


Donna-al-tramonto-del-sole
Donna al tramonto del sole


E' un monologo o un dialogo? Non saprei dire. Celebre tra questi dipinti d' ispirazione religiosa è la Croce sul Monte (1807-8): è un paesaggio con la luce del tramonto e quel Cristo lì in alto, infisso nella solida roccia, è simbolo della fede che non conosce tramonto. La critica s' è sempre industriata a decifrare e le metafore e i simboli della sua pittura: commentati dai suoi contemporanei Brentano, Goethe, Kleist, Tieck, Arnim. Nei suoi pochi scritti sull' arte e nelle lettere (una selezione fu edita da SE, 1989, con una bella prefazione di Roberto Tassi) Caspar talvolta ci aiuta, altre volte divaga e complica le cose. Non credo che sia questa la via per godere a fondo della sua arte, direi persino che tali decifrazioni e spiegazioni sono uno schermo se non un impedimento. Qui si vedono i capolavori più famosi del pittore come l' Abbazia nel querceto dove una rovina gotica convive con alberi scheletriti, ma il migliore Friedrich è quello delle rocce di Rugen che sprofondano in un mare azzurro: un paesaggio che assomiglia in modo impressionante a quello che si vede dal belvedere della Migliara a Capri. Negli anni della maturità emergono paesaggi lunari con uomini che stanno in silenzio accanto a immense rovine di architetture gotiche. Numerosi i paesaggi di mare: quasi sempre notturni con banchine, poche desolate sagome umane, velieri, battelli e barche. Il mare lo seduce con la sua tremenda malia non meno dell' alta montagna: gli estremi si toccano e Friedrich dipinge il sublime.



Paesaggio-con-albero-solitario
Paesaggio con albero solitario



Il Naufragio della Speranza (1823 - 4) è uno dei vertici della sua pittura: una vera nave dal nome simbolico naufraga trai ghiacci dei mari del nord. Il pittore è sconvolto dalla notizia del naufragio e lo raffigura drammaticamente. La zattera della Medusa di Géricault (1819) da il senso di come due grandi pittori possano vivere in modo radicalmente diverso un dramma del mare. Che io lo ami questo pittore è persino fin troppo evidente: quando pubblicai il mio secondo romanzo La dimenticanza volli in copertina a campo pieno La donna alla finestra (1822): la dama è vista di spalle, con un abito verde scuro, in un interno Biedermeir e guarda un porto, di cui si scorgono solo gli alberi di una nave. L' immagine è sospesa nel tempo, c' è un senso d' attesa di qualcuno che non sapremo mai se arriverà. La malia di Caspar è questa, ci tiene sospesi in balia del mare e delle montagne, ma sa anche dirci i pensieri di una donna sola che attende qualcosa alla finestra. La sua lunga e lenta malattia mentale gli impedisce di intraprendere quel viaggio in Italia che aveva progettato cento volte: ma la sua intimità poetica non aveva bisogno di vedere il Bel Paese, un suo paese ideale l' aveva già trovato fra i monti e il mare del nord.


Abbazia-nel-querceto
Abbazia nel querceto


Cimitero-sotto-la-neve
Cimitero sotto la neve




Edited by Milea - 5/8/2021, 08:04
 
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