Edipo e la Sfinge (1864)

Gustave Moreau - New York, Metropolitan Museum of Art

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    Gustave Moreau

    Edipo e la Sfinge
    (1864)

    cm 206.4x104.8

    New York, Metropolitan Museum of Art


    La Sfinge è raffigurata come un essere mostruoso, per metà animale e per metà donna, affascinante e seducente. Edipo fissa il suo sguardo in quello della Sfinge, per accettare la sua sfida e farle capire che non la teme. Il serpente è il simbolo dell'insidia, della tentazione e dell'inganno. La presenza della morte è evidente nel dettaglio in basso a sinistra, il quale ricorda la triste sorte di coloro che hanno tentato, invano, di risolvere l'enigma della Sfinge. (A)

    Edipo non immagina il destino di morte che si sta compiendo per suo stesso tramite: armato del suo solo coraggio è giunto finalmente alla sommità del Monte Ficio, presso la città di Tebe, dove vigila mostruosa la Sfinge. Con il suo quesito infido, rimasto irrisolto da numerosi pretendenti, il cui breve passaggio è segnato da poveri resti abbandonati a margine del dipinto, macabro particolare simbolo della precarietà dell’esistenza umana. L’orrenda chimera, volto di donna, corpo di leone e ali d’aquila, si posa sul petto dell’eroe e pone l’indovinello, sicura e maliarda. Stavolta però è lei a non sapere qualcosa: Edipo conosce la risposta, e non è che un attimo di sospensione nel dramma quello che Gustave Moreau ritrae sulla tela. La corona che orna la testa della Sfinge andrebbe così interpretata, secondo Edouard Schuré (uno tra i principali divulgatori del Simbolismo decadente): come immagine della tradizionale vittoria della Natura sull’Uomo, il quale però, forte del suo ingegno, sta per prendersi la rivincita tanto inseguita. Edipo scioglierà l’enigma, la Sfinge sconfitta finalmente rotolerà giù dal monte, e con essa la corona. Vittoria dell’uomo sulle forze della Natura, dunque. Ma non per molto. L’eroe, grazie alla sua astuzia e al suo coraggio, si guadagna il trono di Tebe e sposa Giocasta, ignaro che questa sia in verità sua madre, macchiandosi così d’incesto.Gustave Moreau, Edipo e la Sfinge, 1864 Olio su tela, New York, Metropolitan Museum La vergogna assale Giocasta, che si toglie la vita, mentre Edipo per il rimorso si acceca con uno spillo preso dalla veste della madre-sposa. Ma la tragedia che si consumerà immediatamente dopo la discesa di Edipo dal monte non interessa Moreau. A lui, come al più puro dei pittori simbolisti, interessa l’atmosfera sospesa e incantata del mito, la sua cripticità, i suoi significati nascosti. La Sfinge simboleggia la Natura, ma anche l’universo della Donna, col suo fascino e i suoi tranelli; così l’enigma più non sarebbe un indovinello, ma il mistero stesso che lega il maschile e il femminile, secondo una dialettica eterna fatta di contrasti e congiungimenti. Uno degli aspetti che rende più interessante l’opera di Moreau è il suo precorrere i tempi, il suo essere arrivato con più di vent’anni di anticipo alle conclusioni teorizzate dai simbolisti propriamente detti, quelli cioè che operarono a partire dalla metà circa degli anni Ottanta dell’Ottocento. Gustave Moreau presentò Edipo e la Sfinge al Salon del 1864, dopo una lunga serie di schizzi preparatori e ripensamenti, con largo anticipo, quindi, sui suoi ideali successori simbolisti, i quali non a caso lo elessero loro maestro e ispiratore, tributandogli un’autentica venerazione. Le tensioni che percorrono l’opera del pittore, nonché le tematiche da lui affrontate hanno incoraggiato la critica a ritenere la produzione di Moreau prettamente simbolista, nonostante la sfasatura cronologica che la divide dal Simbolismo letterario e figurativo (il Manifesto del Simbolismo porta la data del 1886) e malgrado alcune sue peculiarità stilistiche rivelanti un percorso artistico sicuramente originale, e difficile da inquadrare nella griglie di una precisa definizione. Il nudo di Edipo, viene trattato in modo del tutto tradizionale, nella posa e nella resa del tono muscolare, sintomo di un legame profondo e ancora non risolto con la pratica accademica, che in pieno Ottocento costituiva ancora una tappa obbligata nella formazione di un artista, e che invece i simbolisti degli anni Ottanta contesteranno fortemente. L’ultima produzione dell’artista, poi, precorre addirittura soluzioni astratte, nei colori impastati e nei grovigli di forme già non più figurativi. Al contrario dei suoi contemporanei realisti e naturalisti, Moreau non tratta il soggetto mitico con toni rassicuranti (si pensi ad esempio alla leziosa Nascita di Venere del Cabanel), ma carica i suoi dipinti di colori sempre più cupi, di metafore incomprensibili in assenza di una profonda cultura letteraria, e permea le atmosfere di toni bui e velati, lasciando spazio all’immaginazione e a un incanto fantastico fatto della stessa materia dei sogni. Moreau, ossessionato dall’idea della morte in agguato, della decadenza fisica e morale, dalla consapevolezza del mistero impenetrabile che avvolge l’esistenza, trova espressione alle sue tensioni in una personalissima sinergia di temi biblici e mitologici, trattati con preziosità elegante e con cura del particolare e della decorazione sontuosa.

    (ArteDossier, Moreau, Giunti)
     
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