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PINK FLAG
Wire
Harvest/EMI (1977)
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Vocals-COLIN (Black hair)
Drums-ROBERT GOTOBED (6’3”)
Guitar-B.C. GILBERT (Blue eyes)
Bass- LEWIS (9st. 6lbs)
A parte le fotografie che le accompagnano, queste sono le sole informazioni che la band ci fornisce nella back cover di questo audace e stridente debutto. È lo stesso senso di dettagli parziali accoppiati a informazioni mancanti che nutre i Wire e le loro strategie musicali in quest’album di chitarre ronzanti. E le informazioni mancanti abbondano, dato che poche tracce durano più di due minuti, e la maggior parte ne dura meno di uno; sono fatte di dettagli, definizioni e scenari geografici: un labirinto di riprese tra l’ironico e il nonsense la cui cura per la definizione stride con l’apparente mancanza di una conclusione significativa. Ma “Pink Flag” è composto da 21 missive – asciutte, corrosive – più che da canzoni, che sono per la maggior parte urlate e suonate alla velocità di musicisti che hanno misurato i perimetri da dare alle loro creazioni prima di tutto sulla durata, poi sui testi, prima di farle diventare musica. E questi rigidi paletti hanno creato un sistema sonoro finale che ha riecheggiato sonoramente, influenzandoli, nei decenni successivi.
I Wire hanno ridotto la musica pop a qualcosa di precisissimo eppure indefinibile; come nei dipinti enigmatici di Magritte, se pure tutto appare ordinato e finalizzato a qualcosa, spesso sembra comunque... stonato. Con questi 21 rompicapi di potenziale irrealizzato i Wire sono riusciti nell’intento di far diventare il punk una forma d’arte più matura: l’hanno denudato ulteriormente e hanno aggiunto argomenti presentati senza biasimo preconcetto, inquadrandoli da un punto di vista costantemente teso a un dettaglio grottesco che più che chiarire disorienta. Nonostante i Wire non si considerassero punk essi stessi, molti dei temi tipici del punk ricorrono nell’album: l’odio per i media, la politica, il sesso, riempiono testi che qui diventano ritagli di giornale, frammenti di un documentario estrapolati dal loro contesto, minuzie estemporanee. Il lessico del primo punk inglese è riutilizzato dai Wire come scheletro con cui imporre le loro coordinate, e non stupisce come l’immaginario delle mappe, dei territori e delle guide geografiche proliferi in molti dei testi e dei titoli delle canzoni. Ma la cosa più strana di “Pink Flag” è che a dispetto di tutte le sue tendenze mono-soniche, quelle che si sviluppano sotto la distorsione sono orecchiabili strutture di attrazione gravitazionale squisitamente pop, che attraggono miracolosamente la melodia facendola affiorare in superficie. L’intento ironico del gruppo diventa evidente: e anche la proverbiale stringatezza di questo suo debutto sembra voler sfidare il pop al suo stesso gioco, uscendone vincitore per grandezza filosofica più che per il gioco pretestuoso ma caustico del “quanto può essere corta una canzone?”. Certo, è una sfida che avrebbero potuto intraprendere in tanti. Questo è un album innovativo, intelligente, e pure dannatamente figo. Ma è anche il risultato prevedibile di ciò che succede quando dei ragazzi capaci, acuti, usciti da un art college con la mente impregnata di post-modernismo si riuniscono e dicono: “Il punk è pazzesco, ma non sarebbe ancora meglio se ce ne prendessimo gioco in modo elitario?”. Sarebbe potuto accadere a chiunque con una mente razionale e un certo tipo di educazione “artsy”. Ma è semplicemente successo che i Wire, nel dicembre del 1977, abbiamo registrato il primo album di “meta-punk” della storia; il "Trout Mask Replica" del punk. Solo che io preferisco "Pink Flag", perché riesce a trovare un modo più diretto, potente e godibile di unire il tradizionale e l’avanguardistico. Se non riuscite ad afferrarlo o a farlo vostro, alzate il volume al massimo e mettete in play “Surgeon’s Girl”. Ascoltate la furia di quel riff di un solo accordo mentre riduce il vostro corpo in brandelli!!!
Pink Flag
Pubblicazione - 1977
Durata - 35 min : 37 s (originale e ristampa 2006)
39:31 (ristampa 1994)
Genere - Post-punk
Etichetta - Harvest/EMI - Pinkflag
Produttore - Mike Thorne
Registrazione - Advision Studios, Settembre - Ottobre 1977
Tracce
Tutte le tracce scritte da Bruce Gilbert, Graham Lewis, Colin Newman e Robert Gotobed, eccetto dove indicato.
Lato A
Reuters – 3:03
Field Day for the Sundays – 0:28
Three Girl Rhumba – 1:23
Ex Lion Tamer – 2:19
Lowdown – 2:26
Start to Move – 1:13
Brazil – 0:41
It's So Obvious – 0:53
Surgeon's Girl – 1:17
Pink Flag – 3:47
Lato B
The Commercial – 0:49
Straight Line – 0:44
106 Beats That – 1:12
Mr. Suit – 1:25
Strange – 3:58
Fragile – 1:18
Mannequin – 2:37
Different to Me (Annette Green) – 0:43
Champs – 1:46
Feeling Called Love – 1:22
12XU – 1:55
Bonus track (ristampa CD)
Dot Dash – 2:25 [ristampa 1994]
Options R – 1:36 [ristampa 1989 e 1994]
Formazione
Colin Newman - voce
Bruce Gilbert - chitarra
Graham Lewis - basso
Robert Gotobed - batteria
Kate Lukas - flauto in Strange
Dave Oberlé - voce d'accompagnamento in Mannequin
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